Oltre l'orizzonte Arte e letteratura

Il pozzo e le stelle

Cadere osservando le stelle oppure restare con i piedi per terra, senza correre il rischio di volare?
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Mineral Moon di Matteo Vacca
Anni fa, con l’amico e collega Giangiacomo Gandolfi, oggi all’Osservatorio di Roma, ci eravamo divertiti a collezionare cadute di astronomi. Quali? La tradizione ne è piena zeppa, a partire da Talete, quello del celebre teorema sul fascio di rette parallele. Secondo Platone e Diogene Laerzio, Talete cadde in una buca mentre osservava le stelle passeggiando. E fu preso in giro da una servetta che assisteva alla scena. Ma cadde in un fosso pieno d’acqua anche uno ‘strologo ch’ebbe nome Melisus, che fu ripreso da una donna, in una versione del medesimo episodio inclusa nel Novellino, una raccolta di racconti toscani, di autore ignoto, che risale all’inizio del XIII secolo. Qualche anno dopo, Jean de La Fontaine, prende spunto da fatti analoghi per prendersela con gli astrologi:

Un giorno un certo Astrologo andò a cascar nel fondo d’un pozzo. – O bestia, – il popolo gli grida. – e se non vedi dove tu metti i piedi, come vedrai le cose che stan fuori dal mondo?(1)Incipit de L’Astrologo che casca nel pozzo da Favole del 1669 – traduzione del XIX secolo di Emilio De Marchi

Con Giangiacomo avevamo concluso che guardare il cielo è certamente pericoloso, ma che è ancora peggiore il destino di chi non ha l’opportunità  di cadere osservando le stelle. Intanto perchè a vederle, le stelle, il cuore si rallegra sempre. E poi se non guardi le stelle ma ti concentri sulla Terra, potresti scoprire che c’è una serie lunghissima di cose che non tornano, che non vanno mica tanto bene, che sarebbero da mettere a posto: per noi e per gli altri.
Ci sono poi coloro che vivono sotto terra. E le stelle non possono proprio vederle. Per esempio Cià ula, il protagonista di una celebre novella di Luigi Pirandello (Cià ula scopre la Luna, 1912): Cià ula, scrivevamo nell’introduzione a Piccolo Atlante Celeste (Einaudi, 2009) nel pozzo ci scivola al mattino e ci vive tutto il giorno. La sua vita è lì, vorremmo poter dire fra quattro mura, ma in realtà  in un cunicolo buio, dentro la terra: una casa e una vita, quella di Cià ula, che non conoscono neppure il sospetto del cielo stellato. Sì, il cielo lo ha visto pure lui, ma mai veramente. Lo ha visto infatti come un’immagine che scorre senza fermarsi, non si è mai fermato a contemplarlo. Bene: quando esce dal pozzo e scopre la Luna – meravigliosa, sublime – il minatore siciliano la guarda per la prima volta. Ecco perchè si inginocchia e si mette a piangere: perchè vede in quel corpo bianco e luminoso, meraviglioso come ripeterà  Galileo in tanti suoi scritti, un mondo che non aveva mai potuto neppure considerare.
Cià ula ricorda il protagonista di un altro racconto pubblicato qualche decennio prima (1878), sempre restando in Sicilia: Rosso Malpelo di Giovanni Verga, che ha un destino ancora più infausto.

Il padrone mi manda spesso lontano, dove gli altri hanno paura d’andare. Ma io sono Malpelo, e se io non torno più, nessuno mi cercherà . Pure, durante le belle notti d’estate, le stelle splendevano lucenti anche sulla sciara, e la campagna circostante era nera anch’essa, come la sciara, ma Malpelo stanco della lunga giornata di lavoro, si sdraiava sul sacco, col viso verso il cielo, a godersi quella quiete e quella luminaria dell’alto.

Malpelo, chiamato così per i capelli rossi e per la stessa ragione considerato un ragazzo malvagio e diverso, è prigioniero dello stereotipo della diversità . Anche se guarda le stelle, che gli danno quiete, non ne comprende il senso. Prova a spiegarglielo l’amico Ranocchio.

Ranocchio invece provava una tale compiacenza a spiegargli quel che ci stessero a far le stelle lassù in alto; e gli raccontava che lassù c’era il paradiso, dove vanno a stare i morti che sono stati buoni e non hanno dato dispiaceri ai loro genitori. Chi te l’ha detto? domandava Malpelo, e Ranocchio rispondeva che glielo aveva detto la mamma.
Allora Malpelo si grattava il capo, e sorridendo gli faceva un certo verso da monellaccio malizioso che la sa lunga. Tua madre ti dice così perchè, invece dei calzoni, tu dovresti portar la gonnella.

àˆ vero, è pericoloso guardare le stelle, perchè puoi cadere. Ma se non rischi mai di cadere, significa che sei già  sottoterra.

Note

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1 Incipit de L’Astrologo che casca nel pozzo da Favole del 1669 – traduzione del XIX secolo di Emilio De Marchi

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Scritto da

Stefano Sandrelli Stefano Sandrelli

Tecnologo dell'Inaf presso l'Osservatorio Astronomico di Brera, dirige l'Office of Astronomy for Education Center Italy dell'International Astronomical Union. Già  responsabile nazionale della Didattica e Divulgazione per l'Ufficio Comunicazione dell'INAF dal 2016 al 2020, è Docente del corso "nuovi modi per comunicare l'astronomia” per il master MACSIS, Università  Bicocca. Collabora con le riviste Sapere e Focus Junior, per le quali per la quale tiene rubriche mensili. Dal maggio 2000 al dicembre 2015 ha curato per l' Agenzia Spaziale Europea (ESA) oltre 500 puntate di una rubrica televisiva in onda da Rainews24 e RAI 3. Autore per Zanichelli, Einaudi e Feltrinelli.

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