Lo spazio tra le pagine Arte e letteratura

Scrivere, di altri mondi

Considerazioni varie dal workshop "Alla ricerca di nuove forme di vita" tenutosi all'inizio dell'anno presso l'Università di Tor Vergata

Troppo allettante per non partecipare. Il workshop si tiene a Roma presso l’Università di Tor Vergata, organizzato da Laura Marcelli e Marco Casolino per conto della sezione INFN di Tor Vergata e del Dipartimento di Fisica del medesimo ateneo. Il titolo già la dice lunga, Le Prospettive dello Spazio 2: Alla ricerca di nuove forme di vita. Così recita il programma di questa edizione (che rimane disponibile online): Questa seconda giornata di studio – rivolta alla diffusione della cultura scientifica ed aperta al pubblico – è incentrata sulle domande relative a possibili altre forme di vita ed intelligenze e sulle risposte esaminate sotto il profilo della ricerca scientifica, di quello filosofico, religioso, non escludendo la speculazione nell’ambito del fantastico.
Tiro un sospiro di sollievo. Finalmente! Di studi “di settore” ne abbiamo a iosa – siamo una società che produce studi specialistici in grande quantità – mentre non pochi avvertono la mancanza di momenti di vero confronto, di impollinazione reciproca, di scambio di idee e di esperienze. Occasioni nelle quali esporsi a risultati e questioni aperte, alla ricerca di punti di consonanza.

AlieniTerra
Disegno di Davide Calandrini@davidecalandrini – vedi la versione originale

C’è un’urgenza reale. C’è bisogno di momenti in cui ragionare sul senso della nostra esplorazione, fare il punto su un mappa multidimensionale, una mappa che tenga conto di tutte le declinazioni della ricerca umana. Un approccio olistico, insomma, per usare una parola molto di moda. Più semplicemente, si tratta forse di tornare all’antico. La ricerca scientifica non ha mai avuto paura di confrontarsi con le sapienze filosofiche, religiose e anche con le suggestioni che arrivano dall’ambito del fantastico. Tutt’altro. Ognuno di noi lo avverte, non siamo fatti a compartimenti stagni, abbiamo una necessità quasi fisiologica di pervenire a punti vivi di unificazione.
Le suggestioni e i percorsi di approfondimento che questo piovosissimo lunedì di gennaio fa danzare davanti ai miei occhi, superano le mie aspettative. L’approccio che non esclude mi rivela progressivamente la sua fecondità, esponendo una ricchissima rete di interazioni e contaminazioni. Torno davvero ad emozionarmi, al solo notare quante connessioni virtuose si instaurino tra fisica, astronomia, teologia, matematica, tecnologia: tutte convocate, quest’oggi, ad aggiungere la loro specifica voce intorno al tema affascinante della vita nello spazio. Si ragiona di italiani nello spazio, di esopianeti abitabili, del mistero della vita, di volo interstellare, di ebraismo e scienza, di teologia cristiana e necessità di salvezza (ovvero, di significato del vivere) per ogni creatura nel cosmo, di mappe stellari della sonda Gaia (ma anche di Star Trek), di alieni nell’universo e di universalità (o meno) della matematica, del progetto SETI, di potentissimi raggi gamma.
Nessuna fastidiosa dispersione, ma confortante pluralità di approccio. Nessun noioso approfondimento di evanescente impatto sul reale. Parafrasando il buon Walt Whitman, niente per cui diventare presto esausto e sofferente. Onde per cui io vorrei parlarvi proprio di tutto, incluse le conversazioni nelle pause caffè (del resto, mai sottovalutare quel che puoi imparare in una pausa caffè ben spesa). Cioè, vi terrei qui per diverse ore.
In ossequio però al tema specifico di questa rubrica (nonché in rispetto della vostra pazienza) mi focalizzerò sulla partecipazione al workshop di due scrittori, ovvero Licia Troisi e Francesco Verso. Credo abbia senso: in questa rubrica ci stiamo abituando a esplorare – e anche coltivare – la bella amicizia che sussiste tra la scienza e la creatività letteraria, provando ad ammorbidire alcune barriere mentali che ancora ci affliggono. Mi perdonino dunque gli altri relatori – tutti competenti e capaci di “stare al gioco” – che hanno reso la giornata un’occasione davvero bella per la memoria di chi, stavolta, di loro non vi scrive.
Dunque. Licia Troisi interviene con una rassegna ponderata su Immaginare l’alieno tra il plausibile e il narrabile. Emozionante ed istruttivo insieme, farsi guidare da lei tra i mille modi nei quali – nella letteratura e nel cinema – è stata immaginata una vita intelligente non umana, comprendere come un extraterrestre si è sovente definito davanti ai nostri occhi come una concretizzazione materiale di paure e di speranze collettive.
Azzardo, forse gli alieni sono i draghi dei tempi moderni? In ogni caso, vuol dire comprendere quanto l’ipotesi dell’esistenza di altri esseri ci parli innanzitutto di noi stessi. La sensibilità di una affermata scrittrice (fantasy, ma non solo) coglie con profondità e passione i dettagli delle diverse rappresentazioni, regalandoci colore e vita per questa intrigante rassegna. Essendo Licia anche scienziata, non manca un confronto con quanto ci racconta l’impresa scientifica, nel merito.
Sono al primo coffee break quando inizio a capire che un alieno non è innanzitutto come lo immagino io. Intendo, non è qualcosa di confortevolmente noto. E’ una sfida alla mia immaginazione, di certo, ma prima ancora alle mie comodità spicciole, al mio modo di pensare a bassa energia. Immaginare l’alieno è un lavoro vero, mica una passeggiata.
Constatazione che viene poi confermata e rilanciata dall’intervento di Francesco Verso, provocatorio già dal titolo, Primo contatto con la Terra: Gli alieni del nostro pianeta. Attraverso il progetto editoriale Future Fiction e con tanti casi di studio – validissimi scrittori di altre etnie che faticano perfino ad essere tradotti in inglese – arriviamo a comprendere che gli alieni sono già tra noi: proprio come ci dice Francesco in apertura, con un efficace gusto della provocazione.
Davvero, vi sono alieni (se non di nome, certamente di fatto) sul nostro pianeta e sono gli abitanti di mondi esotici, di tutte le culture diverse dal mainstream occidentale, prepotentemente nordamericano in senso geografico e anglofono in senso linguistico. Scoprire le espressioni letterarie esterne a questo ambito, culturalmente e commercialmente privilegiato, è un’attività non banale e non facile – una vera esplorazione dell’ignoto – però realmente benefica in quanto ci inizia ad introdurre in una coloratissima cultura delle differenze, in una poliedricità che può fungere da antidoto a quella pestilenziale univocità di narrazione che è innanzitutto un impoverimento, una riduzione della poderosa complessità di visioni e di culture che già esiste sul nostro pianeta.
Seguendo Francesco, capisco che dobbiamo fare un lavoro di riequilibrio, dobbiamo ricalibrare l’attenzione perché – all’atto pratico, nella vita ordinaria – ciò che è diverso dal modello culturale dominante scivola spesso nella completa invisibilità. Altrimenti avremo sempre degli alieni tra noi, ma non saremo in grado di ricevere, da loro, nessun segnale.
Che poi il vero tema del workshop – capisco ormai verso sera – si potrebbe riassumere in appena tre parole, immaginare il diverso. Esplorare le possibilità di vita extraterrestre vuol dire infatti confrontarsi senza sconti con la nostra (in)capacità di uscire davvero dai nostri schemi, ampliare la nostra area di ricezione ed interagire spalancandoci a una platea assai vasta di possibili interlocutori, che (magari) già aspettano di porsi in relazione con noi. Qualcosa che nel Gruppo Storie avevamo già iniziato a percepire, quando abbiamo elaborato i dati finali di Destinazione Futuro (beh, l’universo i messaggi te li fa arrivare, fino a che non capisci).
Ed ecco che questa diviene una preziosa occasione di meditazione sul nostro grado di maturità, sulla capacità che abbiamo di spalancare l’ambito del possibile sfidando costantemente la nostra ristretta misura. Ecco dunque che quella feconda zona di interfaccia tra arte, metafisica e scienza – quel luogo dove le cose si riuniscono e si compongono in un punto di possibile riposo – trova proprio nella educazione alle differenze un terreno florido di incontro e di elaborazione comune.
Il workshop è dunque molto più terrestre di quanto si potrebbe pensare: per quanto il tema dichiarato siano gli altri mondi e chi eventualmente ci abita, in realtà si parla moltissimo sul nostro, di mondo. Il focus reale deraglia progressivamente, gravita felicemente fuori centro (e fuori dalla nostra area di confort): la questione già efficacemente messa in luce da Enrico Fermi, dove sono tutti quanti? (che ha sempre la sua risonanza nella letteratura odierna), si trascolora ben presto in quella, probabilmente più pregnante, quanto davvero riusciamo a concepire la diversità e a rapportarci con essa?
Perché sospetto questo, che finché non faccio un serio lavoro sulla seconda domanda, mi garantirò comunque una risposta negativa alla prima. A prescindere da quel che c’è là fuori (o qui accanto). E che, forse, aspetta soltanto un mio salto evolutivo, perché io lo possa finalmente vedere.
Se gli alieni esistono o no, a tempo debito ce lo dirà la scienza, certo. Ma da stasera, comunque, li sento un poco più vicini.

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Scritto da

Marco Castellani Marco Castellani

Ricercatore presso l'Osservatorio Astronomico di Roma. Si interessa di popolazioni stellari ed è nel team scientifico del satellite GAIA di ESA. Divulgatore e scrittore per passione, gestisce da anni il blog divulgativo Sturdust.blog (già GruppoLocale.it) e coordina il progetto Altrascienza.it.

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