Lo spazio tra le pagine

La musica del cosmo

Osservare il cielo con gli occhi di Peter Gabriel.

Aggiornato il 7 Aprile 2023

Il testo di una canzone può essere letteratura? Ai tempi delle mie scuole medie (secolo scorso), le parole de La Guerra di Piero del grande Fabrizio De André (a proposito del quale Stefano Sandrelli ha recentemente dialogato con ChatGPT) con stupore le vidi comparire nel mio sussidiario, gomito a gomito con quelle di ben più blasonati poeti.
All’epoca avevo un po’ troppo forte addosso il senso di cultura come roba polverosa ed antica, ma mi parve buffo che una persona che ineriva al mondo vivo della canzone (un mondo che dialogava costantemente con le mie emozioni e i miei sentimenti, come fa anche adesso), potesse guadagnarsi un posto lì. La domanda mi segue fin da allora: ci stava bene quel testo nel sussidiario? Era il suo posto? Non ci provo nemmeno a rispondere: so che la domanda continuerebbe comunque a pungolarmi, di tanto in tanto.

LunaGabriel
Disegno di Davide Calandrini – @davidecalandrini – vedi la versione originale

Scansando le grandi questioni, direi che è bello occuparci qui – oltre che delle parole che trovano la loro primaria collocazione nei libri – anche di parole che vengono scritte per essere innanzitutto cantate: arroccarsi su antiche separazioni e obsolete divisioni appare, del resto, sempre più fuori tempo. Spazio dunque alle parole in musica. Certo, meglio ancora se queste parole contengono un riferimento all’astronomia, ai suoi spazi, ai suoi ritmi.
Ecco, il ritmo, appunto. Chiaro: tutto è ritmo, dai battiti del cuore fino ai giochi di luce delle RR Lyrae. Siamo dentro un universo irresistibilmente ritmico. Certo, questo lo sappiamo tutti, ma non ne teniamo più conto. Non abbiamo voglia di ascoltarla, questa melodia. Ci siamo progressivamente affrancati dai ritmi della terra, delle stagioni, del cosmo.
Forse all’inizio ci è sembrata una gran buona idea, una garanzia di libertà, una progressiva liberazione dai cicli implacabili cui i nostri antenati erano soggetti. E così siamo andati avanti sicuri, separandoci strato dopo strato dalle periodicità della natura (giorno e notte, estate o inverno…), fino a costruirci una vita sintetica, con sue specifiche scansioni temporali – va da sé – del tutto artificiali, che sono letteralmente fuori dal mondo, sono povere ritmicamente e soprattutto fuori sincrono rispetto a qualsiasi ciclo naturale: come tali, ci straniscono e ci affaticano.
Il punto è che questo processo di illusorio affrancamento è alienante, perché noi siamo nel mondo, siamo fatti di stelle, impastati di materia dell’universo. Soggetti alle sue pulsazioni, ai suoi beats. Fin dai primissimi istanti di vita. O anche prima, perfino: il ciclo della fertilità femminile è in enigmatica corrispondenza con il moto di rivoluzione della Luna attorno al nostro pianeta, possiedono la medesima scansione ritmica.
Ecco perché – tornando alle canzoni – capisco bene quanto scrive il musicista Peter Gabriel nelle note che accompagnano l’uscita del brano Panopticom, primo tassello musicale dell’album i/o di prossima pubblicazione. Traduco di seguito, in modo libero.

Alcuni brani di quelli di cui sto scrivendo per questa occasione, ruotano intorno all’idea che sembriamo incredibilmente capaci di distruggere il pianeta che ci ha dato alla luce e che se non troviamo il modo di riconnetterci alla natura e al mondo naturale perderemo moltissimo. Un modo semplice di realizzare una maggiore adesione a tutto questo è guardare il cielo… e la Luna mi ha sempre attratto.

Saranno proprio le fasi lunari a dare il ritmo alle uscite dei brani di questo nuovo attesissimo album di Peter Gabriel. Lui, è un musicista che insieme ai Genesis ha scritto un bel pezzo di storia del rock progressivo, per poi intraprendere una carriera solista caratterizzata da forte originalità espressiva e sapienti contaminazioni sonore. Rilevante è il suo periodo africano, non fosse altro perché ci ha regalato scintillanti gioielli, come l’album Peter Gabriel IV: davvero un album da cui tutti abbiamo imparato qualcosa, come trovai (assai saggiamente) scritto in una recensione.
Nello specifico: per questo nuovo album, viene resa pubblica una nuova canzone ad ogni plenilunio. Il progetto prende il via con la canzone Panopticom, che è stata svelata in occasione della prima luna piena dell’anno, il giorno 6 di gennaio.

Il secondo passo – a questo punto prevedibile nella scansione temporale – è quello dell’uscita del brano The Court, in data 5 febbraio (esatto, luna piena). Ogni nuova uscita viene fornita accompagnata da un’opera d’arte specifica, nonché presentata in mix differenti (questa viene resa disponibile come Dark-Side Mix, Bright Side Mix e Atmos In-Side Mix).
Plying for Time è il terzo tassello di questo mosaico artistico (e non solo musicale) in costruzione, e va da sé che sia uscito – almeno nel suo primo sapore – il giorno sette di questo mese. Più in là non possiamo andare, al momento di scrivere questo pezzo. Ma la scansione ritmica la conoscete, ormai. Non è legata tanto alle fibrillazioni del mercato discografico, quanto alle dinamiche del cosmo.
Quando la sera porto Poncho a spasso, mi capita di guardare la Luna (lui è invece più propenso a fiutare per terra, ma non lo giudico). Prima l’unico pensiero era ma come diavolo hanno fatto negli anni Sessanta ad arrivare lì? ora (accanto a questo, che reclama sempre un minimo spazio mentale, non molto negoziabile) ne è arrivato uno nuovo oh ma è in uscita un altro brano di Peter Gabriel!
Per i seguaci di uno tra i più grandi geni musicali contemporanei (no, non mi viene proprio, una cosa più soft), un motivo ulteriore per attendere quei giorni in cui la Luna è massimamente presente – quasi invadente – nel nostro cielo. Per me, un espediente che collega efficacemente due importanti universi affettivi, musica e astronomia. Per tutti, un invito gentile a riaprirsi ai ritmi del cosmo, alle scansioni che hanno sempre regolato la vita dell’uomo e degli animali. Più suggestive, mitiche e riccamente simboliche di tanta vita asciutta e frettolosa regolata dall’imperativo dell’efficienza 24/7, dalla divinità al neon (come profeticamente cantavano Simon & Garfunkel già nei Sessanta del secolo scorso) che ci siamo creati.
Tornare al ritmo della Terra, della Luna, del cosmo, è un atto di felice e pacifica insurrezione contro un sistema fortemente dominato da fattori economici, che ci vorrebbe schiavi del consumo (avrete notato come i centri commerciali siano deliberatamente isolati dal contesto geografico – sono universi chiusi, non ti puoi distrarre a guardare la Luna, le nuvole, i monti: devi comprare). Un possibile inizio di un cammino di libertà, potrebbe basarsi proprio nel ritornare sensibili alla musica del cosmo, ai suoi specifici ritmi. E magari anche giocarci, come fa il nostro Peter. Gioco meno fatuo di quanto potrebbe sembrare a prima vista, perché l’esigenza di riconnetterci con il mondo naturale la sentiamo tutti, anche se usualmente la cacciamo là, ben sotto il tappeto.
L’attenzione deliberata ai ritmi del cosmo difatti non è una faccenda neutra, un’attività sterile. Non può esserlo, perché è un chiaro segnale inviato verso le stelle, una manifesta disponibilità di accordo, una predisposizione preziosa alla comune risonanza.
Ciò che vediamo nel cosmo ci interessa perché porta con sé anche un significato culturale, politico e sociale: d’altronde, ogni civiltà ha elaborato un suo modello di universo, che ci dice molto più di come ragiona chi è in terra che dei fenomeni che ci sono in cielo. La cosmologia in fondo è una scienza dell’uomo, il cosmo raccontabile dice sempre moltissimo di noi. E a pensarci bene, non può che essere così. Del resto, Peter è d’accordo. E anche Poncho (a suo modo) è certamente sulla stessa frequenza.

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Scritto da

Marco Castellani Marco Castellani

Ricercatore presso l'Osservatorio Astronomico di Roma. Si interessa di popolazioni stellari ed è nel team scientifico del satellite GAIA di ESA. Divulgatore e scrittore per passione, gestisce da anni il blog divulgativo Sturdust.blog (già GruppoLocale.it) e coordina il progetto Altrascienza.it.

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