Aggiornato il 28 Novembre 2024
Se vi chiedessi di pensare a un treno, ognuno di voi avrebbe in mente un’idea di treno diversa: c’è chi penserebbe ad un treno regionale, chi ad un Frecciarossa, chi ad un treno a vapore, e così via. Ma se vi dicessi di pensare a un treno abbastanza vecchio, scolorito e con qualche vagone rovinato dai graffiti, rumoroso, con i bagni senza carta igienica, e i sedili ricoperti di quella patina appiccicosa che sicuramente non è gel disinfettante, ciascuno di voi avrebbe in mente solo questa idea di treno che vi ho dato, ed è il tipo di mezzo con cui io e Valentina Vavassori abbiamo raggiunto Perugia, per partecipare alla Masterclass di Famelab dal 17 al 19 giugno.
Durante quel viaggio senza fine non sapevo bene cosa aspettarmi da un’esperienza di quel tipo, e, a dire la verità , non sapevo nemmeno in cosa consistesse una masterclass. Pensavo anche a quanto mi sentissi curiosa, e pure timida, di conoscere gli altri ragazzi che, in giro per l’Italia, avevano deciso di tuffarsi in questa esperienza: oltre a me e Valentina, ce n’erano altri quattordici, provenienti da campi di studio diversi. Ed è bello soffermarsi sul fatto che ognuno di noi aveva voglia, a modo suo, di raccontare un aspetto della sua scienza che lo affascinava.
Uno dei nostri insegnanti per quei giorni era Renato Preziuso (attore, improvvisatore, formatore e regista, nonchè una persona splendida e sempre con un sorriso contagioso), che aveva il compito di guidarci a sbloccarci, a far vivere le nostre emozioni dentro e soprattutto fuori di noi, per poterle mostrare e trasmettere agli spettatori dei nostri racconti. Insomma, per una persona come me, questo significava alzarmi e sradicarmi dalla mia bella poltrona di riservatezza a cui sono molto affezionata e abituata.
E già dai primi esercizi cominciavo a incontrare delle difficoltà : a turno, per esempio, dovevamo convincere un compagno che una pallina rossa fosse un coccodrillo, trasformando la voce a seconda dell’emozione che si voleva trasmettere: paura, felicità , preoccupazione, pazzia.
Poi arrivava il momento di raccontare una situazione, anche inventata, che trasmettesse a chi stava ascoltando determinate emozioni, e in parte è quello che ho cercato di fare all’inizio dell’articolo: ho usato la regola dell’A-C-E, e cioè Azione, Colore ed Emozione. Un racconto è fatto di verbi, di descrizioni, di particolari, e anche di sentimenti; ma le parole non bastano: i silenzi sono fondamentali, perchè creano quella tensione teatrale che coinvolge ancora di più il pubblico, e rompe l’equilibrio della parlata. I movimenti del corpo, infine, non devono mai essere casuali: sul palco, per esempio, bisogna avere chiare le posizioni, crearsi degli spazi, così il pubblico si aspetta che, quando si dice una determinata cosa, si ritorni in un determinato spazio.
Sono bastate poche ore e il nostro modo di interagire è cambiato completamente: c’era più sicurezza, più svago, e anche più divertimento in ogni cosa o gesto che facevamo. Arrivata la prima sera, sembrava che ci conoscessimo da sempre.
Renato mi ha insegnato soprattutto questo: che il teatro è disequilibrio, perchè ti costringe a esporti, a sentirti scomodo, a disagio; ma sa essere anche incerto e improvviso, aspetti che non vanno d’accordo con chi prova ansia se non ha tutto sotto controllo; ed è proprio da questa scomodità che nasce la sicurezza in ciò che si fa, e il controllo di se stessi.
Wendy Sadler è una comunicatrice della scienza e docente presso l’Università di Cardiff, ed è la direttrice fondatrice di Science Made Simple. Il suo obiettivo in quei giorni era proprio quello di insegnarci a rendere le cose semplici.
In una situazione in cui bisogna raccontare la scienza in tre minuti, è fondamentale trovare un modo efficace di farsi capire da più persone possibili. Una strategia può essere quella di partire da argomenti che interessano a molti, come lo sport e la musica, e usare similitudini per farsi capire meglio: ad esempio, per spiegare quanto sia sottile un capillare, è più efficace sottolineare che è sottile come un capello, rispetto a dire che può avere un diametro di 5 micron.
Anche gli oggetti possono rivelarsi uno strumento utile ad ampliare il bacino di pubblico coinvolto: non devono essere troppo piccoli, a meno che nelle loro dimensioni non risieda una grande importanza; devono stimolare curiosità , generare stupore, e magari sviluppare anche un’interazione tra attore e spettatore; tramite delle analogie si può quindi far comprendere meglio ciò che si sta trattando, lasciando un’impronta più profonda nella memoria di chi ascolta.
Una spugna, con le sue porosità , è un oggetto che rappresenta bene quella che è la struttura di una parte del tessuto osseo; ma anche una copia della Divina Commedia è un esempio molto chiaro per descrivere quanto sia lungo il DNA: se infatti lo volessimo scrivere in Times New Roman, dimensione 12 e senza spazi, in ogni cellula ci sarebbero circa 7400 commedie.
E poi si è parlato a lungo anche degli aspetti più emotivi, come la tensione, che è del tutto normale in queste situazioni. Ma, nonostante ciò, be confident! Essere sicuro di te stesso e delle parole che usi, guardare le persone negli occhi e fargli capire che ti stai divertendo, è sicuramente una delle chiavi per mantenere l’attenzione del pubblico su di te.
E tra improvvisazione, semplicità e tante risate, le giornate passavano in fretta, portandoci poi a cenare tutti insieme come amici di una vita. Non è semplice descrivere quanta allegria ci fosse nei nostri sorrisi e in tutto ciò che ci raccontavamo, le parole sarebbero davvero riduttive; basti sapere che, a furia di conoscerci e di chiacchierare, il sonno non ha superato le dieci ore in due notti, richiedendo l’aiuto di un paio di occhiali da sole per nasconderlo.
A testimonianza di quanto ho scritto, riporto le sette parole che Leonardo Alfonsi, direttore di Famelab Italia e di Psiquadro, ha usato per descrivere quelle tre giornate ricche di cose che abbiamo imparato, ascoltato e osservato insieme: Credo sia stata la masterclass più intensa.
Ma, come tutte le cose belle, anche quell’esperienza è volta al termine in fretta. Ci aspettava solo un obiettivo: la finale nazionale, che si sarebbe tenuta il primo ottobre, sempre a Perugia. E nell’attesa di leggere la prossima parte, vi lascio con qualche immagine che spero possa trasmettere quella stessa allegria che abbiamo provato insieme.
Crediti foto: Marco Giugliarelli
Add Comment