Ha appena iniziato ad albeggiare quando, nel gelido mattino del 22 novembre 2024, le classi 5BL e 5DL partono dall’istituto Bachelet di Abbiategrasso (MI) per un’uscita didattica alla scoperta delle profondità invisibili del cosmo. Dopo un lungo tragitto in pullman, eccoci finalmente in Emilia-Romagna, mentre il percorso si snoda verso Bologna. I paesini si fanno sempre più agricoli, mentre i campi coltivati si estendono a perdita d’occhio, avvolti dalla calma piatta dell’autunno, sferzata da un vento impetuoso. Infine, il pullman raggiunge un casale rimesso a nuovo e circondato da telescopi e radiotelescopi in esposizione; la targa sul cancello recita: osservatorio INAF di Medicina.
L’osservatorio di Medicina

L’impressione è quella di essere in un luogo piuttosto remoto, ma dove regna una gran quiete e molte curiosità e misteri ci attendono; un luogo la cui atmosfera ci fa pensare insomma all’oggetto della nostra visita: le profondità dell’universo studiate dalla radioastronomia.
L’Osservatorio di Medicina è un centro di ricerca all’avanguardia, situato a circa 20 km da Bologna. Fondato nel 1964, il centro è gestito dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ed è noto per le sue avanzate capacità di osservazione radio. Il sito è stato scelto strategicamente per la sua posizione lontano dalle interferenze elettromagnetiche delle aree urbane, che permettono di raccogliere dati radioastronomici con una precisione maggiore. L’Osservatorio è coinvolto in numerosi progetti di ricerca a livello internazionale e collabora con altre strutture, contribuendo a una vasta gamma di studi, dalle supernove agli studi cosmologici. È gestito da un team altamente qualificato composto da circa 50 persone, tra cui astronomi, ingegneri, tecnici e personale amministrativo; è anche un importante polo di formazione per i giovani ricercatori.
Veniamo accolti dalla nostra guida nel centro visitatori, dove ci fa accomodare in un’ampia sala conferenze, per guidarci in una presentazione su questa branca della fisica, la sua storia e le sue applicazioni.
La radioastronomia
Lo studio delle onde radio, un tipo di radiazione elettromagnetica con lunghezze d’onda che vanno da pochi millimetri a centinaia di metri, ha preso forma negli anni ’30 grazie a esperimenti pionieristici di Guglielmo Marconi nella comunicazione. Nel 1937 Grote Reber costruì il primo radiotelescopio, un piatto parabolico da 9 metri che riusciva a captare onde radio provenienti dallo spazio. Il grande sviluppo avvenne negli anni ’50, con la costruzione di radiotelescopi di grande calibro e la creazione di osservatori come il National Radio Astronomy Observatory (NRAO) in Virginia. Fu durante questo periodo che la radioastronomia permise scoperte fondamentali, come la radiazione cosmica di fondo, osservata nel 1965 da Arno Penzias e Robert Wilson, che confermò la teoria del Big Bang.
Il cuore della radioastronomia risiede nei radiotelescopi, che raccolgono onde radio provenienti da oggetti distanti. Un radiotelescopio è composto da un’antenna, generalmente di forma parabolica, che riflette le onde radio verso un ricevitore. Le onde sono quindi convertite in segnali elettrici che possono essere analizzati per rivelare le caratteristiche degli oggetti che emettono radiazioni. Grazie alla loro capacità di rilevare frequenze non visibili all’occhio umano, i radiotelescopi ci permettono di osservare oggetti e fenomeni come pulsar, buchi neri e galassie lontane. Inoltre, è possibile creare delle controimmagini di oggetti già osservati nella banda del visibile, scoprendone nuove caratteristiche; per esempio, è possibile localizzare stelle in formazione all’interno delle nebulose.
Nel corso dei decenni, la radioastronomia ha portato a scoperte rivoluzionarie, come la radiazione cosmica di fondo a microonde, le pulsar, e molte altre, che hanno cambiato la nostra comprensione dell’universo.
Dedichiamo parte della mattinata all’esposizione interattiva del centro visitatori, sempre legata alla radioastronomia, i suoi strumenti e i progetti di ricerca dell’osservatorio.
La presentazione si conclude con un video 3D con tanto di occhialini: la ha un grande impatto visivo che risveglia lo stupore e l’ammirazione per l’astronomia, con immagini immersive di galassie vorticose e profondità punteggiate di stelle.
Torniamo quindi sul pullman per raggiungere, a pochi chilometri di distanza, i telescopi dell’osservatorio.
La Croce del Nord

Davanti a noi si staglia ora un oggetto gigantesco e incredibilmente singolare: un’immensa struttura bianca a due bracci, percorsa da impalcature e una miriade di cavi metallici. È difficile da descrivere, e ugualmente complicato sarebbe indovinare la funzione di quella che sembrerebbe una complessa scenografia di un film di fantascienza, atterrata nel mezzo della campagna emiliana. Si tratta del radiotelescopio Croce del Nord, che ovviamente non proviene dallo spazio, ma ci permette di sondare i suoi misteri. Il vento ci sferza mentre, in piedi nel prato accanto al radiotelescopio, la nostra guida ce ne illustra il funzionamento.
Il telescopio funziona come un interferometro, con molte antenne disposte in due bracci, che lavorano insieme in sincronia per migliorare la risoluzione angolare e raccogliere segnali più deboli con maggiore precisione; in totale, ha ben 5632 dipoli (che appaiono come cavetti metallici tesi) che trasformano le onde radio incidenti in tensioni elettriche misurabili. L’antenna o braccio principale si estende per 564 metri in direzione est-ovest, il secondo per 640 metri in direzione nord-sud. Il gigantesco interferometro appare come una grande intelaiatura in acciaio chiaro su cui sono tesi sottilissimi cavi paralleli (un po’ come le corde di uno stendibiancheria). Questa configurazione molto conveniente offre un’area di raccolta del segnale radio che supera i 27.000 metri quadrati, senza però dover creare uno specchio che sia realmente così grande (dato che sarebbe ingegneristicamente impossibile). Questo permette al telescopio di rilevare segnali radio debolissimi da una vasta porzione di cielo, con una grande precisione angolare (circa 4–5 minuti d’arco). Si tratta di uno strumento di transito: date le grandi dimensioni, non è possibile ruotarlo per direzionare la zona del cielo da osservare, ma si possono studiare solo gli oggetti che passano sopra all’interferometro.
La parabola Grueff

Terminata la spiegazione della guida e dopo aver esaurito le nostre domande, affrontiamo il lungo rientro su strada.
Giungiamo ad Abbiategrasso quando il cielo è tornato buio, così come lo avevamo lasciato alla partenza. Si possono intravedere le prime stelle serali, che ci ricordano delle tantissime informazioni che la visita di oggi ci ha lasciato. Soprattutto però ci ha lasciato, come sempre fa la grande scienza, quel senso di meraviglia e grandiosità per la conoscenza che l’umanità ha conquistato e tutti i misteri che ancora rimangono da svelare. Ci ha ricordato come il fascino del cosmo non stia solo nel cielo stellato che brilla nei nostri occhi curiosi, ma anche negli enigmi invisibili al nostro sguardo. Ci ha regalato un senso di sublime per oggetti remotissimi, nello spazio e nel tempo, che il genio umano è riuscito comunque a raggiungere, e soprattutto, per quelle zone che sembrano ancora buie, ma potrebbero celare segreti incredibili.
Bibliografia
- Stazione radioastronomica di Medicina: it.wiki – en.wiki
- Speciale EduINAF: Radioastronomia
- The Science of Radio Astronomy
- Radiotelescopi di Medicina – INAF
- Croce del Nord – INAF
- A brief history of the Northern Cross Radio Telescope (pdf)
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