Lo spazio tra le pagine

La Luna sui tetti

Suggestioni lunari e atmosfere natalizie tra città e memoria, sulle note di una delicata canzone di Francesco De Gregori

Mi veniva in mente una mattina di qualche giorno fa, mentre spulciavo i miei archivi interni alla ricerca di uno spunto per la rubrica di dicembre. Continuava a ricircolare in testa questo gioiellino, piccolo e prezioso. Ma no, non va bene avvertiva subito la mente calcolante (la parte cartesiana, particolarmente analitica e decisamente abile a smorzare gli entusiasmi). D’accordo per il titolo, senz’altro a tema in questo periodo, concedeva, ma non c’entra molto con il cosmo, per di più è una canzone di un disco dal quale già ne hai estratta un’altra… Però ora vi spiego perché decido di mettere la mente cartesiana a tacere – almeno per il momento – e oggi decido di parlare con voi del brano che si chiama Natale, di Francesco de Gregori.
La canzone fa parte dell’album – che porta semplicemente il cognome dell’artista – dove troviamo anche Babbo in prigione, di cui in effetti abbiamo parlato alcuni mesi fa (la parte cartesiana non aveva torto, su questo). E visto che questo articolo esce proprio il giorno di Natale mi pare assai bello proporla all’attenzione di chi non la conosce, o riproporla a chi l’ha conosciuta e apprezzata.

L’incipit è quello che mi dà il graditissimo pretesto di parlarne qui, perché, proprio come Babbo in prigione, si apre con la Luna, che esattamente come accade lì, fa la sua comparsa in scena immediatamente, fin dalla prima riga della prima strofa. Se però, in quella, il nostro unico satellite naturale manteneva un carattere ultimamente enigmatico, qui è visto come una sorta di decorazione lieta: qualcosa che adorna quel rapido scorcio di panorama urbano, sapientemente abbozzato nell’apertura del brano.

C’è la luna sui tetti
E c’è la notte per strada
Le ragazze ritornano in tram
Ci scommetto che nevica
Tra due giorni è Natale
Ci scommetto dal freddo che fa

Bastano poche righe per caratterizzare molto precisamente l’ambiente. La Luna, i tetti, le strade, i tram. Le ragazze, naturalmente. E già ci pare di vederlo, questo scenario cittadino, questo frammento di ordinaria vita urbana. La Luna, peraltro, non sarà più menzionata nella canzone, che mantiene un finissimo sapore agrodolce, consumandosi in una sorta di allegro disincanto, dove una affiornate amarezza è come stemperata da un’onda più serena, che avvolge tutto. Tra due giorni è Natale e le possibilità, sembra quasi dire Francesco, non sono ancora chiuse. Anche se la persona che sente salire le scale del palazzo, si ferma due piani più in giù, non è lei, non è quella che aspettava. Anche se dunque, l’attesa non termina, il dono non è ancora arrivato.

La Luna E La Notte Per Strada
“Serata lunare, Natale cittadino”, elaborazione dell’Autore attraverso Copilot Designer di Microsoft

La Luna sui tetti e la notte per strada ci appaiono quasi antagonisti, protagonisti di un silenzioso duello: una porta luce, l’altra buio. La cifra ultima sembra giocarsi in una notte rischiarata dove non si dimentica niente, ma proprio niente, del patimento e della sofferenza, ma per un momento almeno, è come se fossero viste sotto una luce diversa (i cultori della classica non si scandalizzino se oso qui richiamare Verklärte Nacht di Arnold Schönberg, una notte trasfigurata, tra l’altro, sempre illuminata dalla Luna).
La Luna che fa luce e compagnia abitando i tetti, è una Luna domestica, non un corpo celeste lontano, ma una presenza vicina, quasi palpabile. Sta sui tetti, non è poi distante: è dunque cosa del mondo ordinario, è cosa della nostra esperienza. E’ qui, appena sopra il tetto di casa. Una evidenza semplice, incontestabile. Si potrebbe quasi toccare.
E intanto la melodia accattivante, in tempo di ¾ che è poi quello del valzer, gioca con le parole che potrebbero apparire meste, è un peccato davvero ma io già lo sapevo che comunque non potevi essere tu e questo strano contrasto rende il brano più ampio, non lo appiattisce su un sentimento definito, al contrario lo fa apparire spazioso, accogliente, oscillante su vari autostati. C’è la delusione, però amalgamata alla speranza, alla quieta attesa. Ci siamo dentro un po’ tutti.
Già si era detto, ma creare un buon brano intorno ai tre minuti che sia compiuto, che ti lasci un senso di completezza musicale e concettuale, è difficile. Dannatamente difficile. Per azzardarti, ti devi chiamare Stephen Still e allora fai 4+20, si argomentava. Oppure sei Keith Bush e hai appena vent’anni ed è il 1978 (guarda un po’, lo stesso anno del nostro brano) e allora incidi Don’t Push Your Foot on the Heartbrake dove già l’arpeggio di pianoforte iniziale ti immerge subito nel mood senza perdere un secondo e così lasci noi, per un vita intera, a cercare di capire come diavolo hai fatto a quell’età a giocare con simili meraviglie sonore (Stills ne aveva venticinque quando ha scritto il suo brano, ma si sà, le donne arrivano prima).
Il nostro Francesco forse non orbiterà a questi sommi livelli ma se la cava piuttosto bene. Gioca dalla sua l’incedere melodico tipicamente mediterraneo, italiano nel senso migliore del termine. Perché è come un’aria, o meglio un piccolo recitativo. Un quadretto che si apre e chiude subito, illuminato di luce lunare.
C’entra davvero il cosmo? Ebbene, io sostengo che se eliminassimo le prime cinque parole, se la Luna scomparisse dal brano, sarebbe tutto diverso. Non è un caso che venga menzionata prima di ogni altra cosa, che sia il primo sostantivo della canzone. In un brano di due minuti e mezzo non c’è proprio tempo da perdere e Francesco «mette su» immediatamente lo scenario, dove poi si svolge un’azione minima, semplice, atomica nel senso di fondamentale, unica, indivisibile in ulteriori parti.
Tra due giorni è Natale e, complice la Luna sui tetti, c’è uno spazio di respiro, per me. I passi non sono i suoi, d’accordo, ma questo lo sapevo già. Non fa niente, o se fa qualcosa, oggi non è così grave, c’è un senso di festa che rende più dolce anche il senso dell’assenza. Ma tu scrivimi però, io posso convivere con la tua assenza fisica, almeno adesso, almeno a Natale, ma tu dammi un segnale – come la Luna sul tetto – fammi sapere che ci sei, fammi entrare comunque in relazione con te. Davvero come la Luna, che non posso toccare ma è qui, è davvero qui, appena sopra le tegole del tetto. Luna che è diventata cittadina.
Così la nostalgia e quasi il dolore per un amore perduto (o solo temporaneamente smarrito?) si colorano di magia e meraviglia, in un gioco di contrapposizioni che – qui è l’arte vera, signore e signori – non stridono ma si compongono docilmente in questo scenario sfaccettato che ha il sapore irresistibile della vita reale.

Tra due giorni è Natale
E non va bene e non va male
Buonanotte, torna presto
E così sia

Buonanotte, torna presto. E così sia, un augurio e una speranza, convergono in una resa a ciò che esiste, in una pacificazione su quel che accade. Proprio su questa melodia tanto semplice quanto dolce, su questo tappeto di parole dove si apre – nonostante tutto – una speranza per una luce nuova, per un futuro aperto, con una Luna delicatamente appoggiata sui tetti delle nostre case, mi piace inviarvi i migliori auguri per un Lieto Natale e un sereno inizio di un nuovo anno.

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Scritto da

Marco Castellani Marco Castellani

Ricercatore presso l'Osservatorio Astronomico di Roma. Si interessa di popolazioni stellari ed è nel team scientifico del satellite GAIA di ESA. Divulgatore e scrittore per passione, gestisce da anni il blog divulgativo Sturdust.blog (già  GruppoLocale.it) e coordina il progetto Altrascienza.it.

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