Proseguo nel mio viaggio tra i finalisti del Premio Nazionale Frascati Poesia Antonio Seccareccia, alla ricerca delle stelle entro i loro versi. Lo faccio perché ritengo sia un modo, assai pratico, per comprendere come la poesia italiana moderna si rapporti al cosmo. Dopo aver attraversato i versi di Gian Mario Villalta (vincitore del premio) e di Massimo Morasso, in un cammino che non ha un ordine preciso, mi inoltro nel volume di Daniela Attanasio, Vivi al mondo.

Questo testo ha vinto il Premio Strega Poesia Giovani, i cui votanti sono studenti di scuole medie superiori, in Italia e all’estero. Nella motivazione del premio già si scandagliano efficacemente aspetti importanti della poesia della Attanasio: aspetti ai quali, desidero qui accostare quello cosmologico, poiché è ciò che qui mi compete.
Lei stessa mi mette sulla buona strada, con una significativa dichiarazione che estrapolo da una sua bella intervista:
L’analogia con lo scienziato, con l’astronomo che scruta il cielo, vien fuori così marcata che non serve spenderci molte parole. Accogliere le percezioni che arrivano dalla realtà, con i sensi e con gli strumenti di misura (che estendono la nostra ricettività in determinati ambiti, per certe lontane luci, per certe esili frequenze) è il fulcro di ogni lavoro di ricerca. Entrambe le occupazioni – fare poesia e fare scienza, intendo – richiedono una aderenza appassionata verso gli ambiti più piccoli del reale, non solo verso le cose “grandi”: verso le stelle propriamente dette, certo, ma anche verso quelle nate sul prato (qui e oltre, i versi sono arbitrariamente estrapolati da Vivi al mondo)
il tronco del pino coperto d’edera rampicante
le sue ventose verdi che stringono per salire –
pianta proterva l’edera si stacca da terra e sale
chiudendo l’albero nella sua gabbia vegetale
ti sente quando passi anche se non ti vede
L’attenzione al dettaglio, la disarticolazione dell’usurata logica del grande e del piccolo si compie in favore di una ariosa architettura concettuale per cui è importante quello che coinvolge i sensi, è importante l’osservatore e ciò che con lei (o lui) viene a porsi in relazione.
si lascia alle spalle i limiti dell’intelletto? perché i suoi sensi
non hanno i confini di un terreno già calpestato
o delle stelle cadenti la notte di San Lorenzo
non si appoggiano al disegno della natura e alle cose del
mondo che hanno studiato
al consueto alle scadenze
Il poeta (e di più la poeta, come avevamo già visto) – ma io aggiungo, il ricercatore e la ricercatrice veri – si lasciano certi limiti alle spalle, trascendono i confini del già visto, superano anche le cose del mondo che hanno studiato, perché ricerca è spingersi dove non sappiamo, dove dietro l’apparente buio, il non sapere, soltanto si trovano i colori del cosmo.
E tuttavia questo cercare oltre non si distacca dalla concretezza del mondo e dalle sue leggi fisiche, alle quali viene riconosciuta una funzione decisiva, ma sempre in questa ottica rinnovata, dove il mondo è per chi lo abita, posto che questo essere per non sia più inteso come dominio ma come infinita possibilità di relazione. La legge di gravità ad esempio: esiste (anche) perché ci mantiene in rapporto con la nostra Luna, questa bianca imperfezione che, in definitiva, ci rende più umani.
accelera di nove metri e cinquanta al secondo per secondo
la stessa accelerazione di due corpi che si attraggono –
senza la gravità la luna se ne andrebbe via nei campi dell’universo
non ci sarebbero più né miti né invocazioni e il canto dei poeti
sarebbe più solitario più triste
per la scomparsa di una bianca imperfezione
Tanto il poeta quanto lo scienziato, quando sono onesti con quel che fanno, non possono che richiamarci ad una attenzione rinnovata, ad uscire dai limiti della mente e dei pensieri circolanti del già visto per fare nuova esperienza del mondo, significativamente indicata, dalla Attanasio, con uno stare all’erta
vuol dire che chi ha avuto il dono
di toccare la vita con ogni parte del corpo
e di annusare nel corpo un soffio di realtà spirituale
dovrà tenere sempre aperti i suoi cinque percettori sensoriali
per vedere di più andando oltre le linee secche dei confini
per superare la notte
sorvolando corpi celesti stelle polverose
Trovo realmente straordinario questo riferimento alle stelle polverose. Certo, c’è il fatto che in certe fasi evolutive (come quella di Ramo Asintotico delle Giganti) le stelle effettivamente possono produrre ingenti quantitativi di “polvere” (a cui dobbiamo molto, noi abitanti del Sistema Solare). D’accordo, c’è anche il fatto che tale polvere – lungi dall’essere un fastidio – rimanda all’affascinante tema della evoluzione chimica dell’universo. Esiste tutto questo, sussistono testi, articoli, convegni sul tema, esistono (quasi) universi, appena sfiorati dal termine polverose, riferito alle stelle.
Ma tutto questo la poeta non ha bisogno di raccontarlo. La sua intuizione è elegante e sintetica, così che noi, su queste stelle polverose, percepiamo quello strato di opacità che sembra rivestire le cose quando le guardiamo con occhi spenti, quando non siamo all’erta, potremmo dire, prendendo residenza nel mondo poetico di Daniela.
Così anche il bagliore delle stelle può sembrar vinto dalla polvere – apparentemente, temporaneamente sconfitto – per una nostra disposizione d’animo, per una nostra libera decisione interna. In fondo se le stelle brillano dipende da noi: abbiamo insomma un potere incredibile e la poesia vive per ricordarcelo. La poesia è intrinsecamente cosmologica in quanto ci racconta, pazientemente e costantemente, che l’universo in cui viviamo non è appena gettato lì e noi in esso, ma intesse con noi una trama di rapporti tessuti di libertà e mistero, avvia ogni momento un fitto scambio di segnali, respira nel nostro respiro e brilla nel brillio dei nostri occhi, quando brillano.
Scriveva Julian Carron, che un pensiero, una filosofia, un’analisi psicologica o intellettuale non sono in grado di far ripartire l’umano, ridare fiato al desiderio, rigenerare l’io. La poesia è tra le cose che può farlo, il poeta ha questo compito. Ancora Daniela nell’intervista citata dice espressamente che la poesia fa bene: io stessa, quando non mi sento al meglio della mia condizione psicofisica, leggo Emily Dickinson e subito mi riprendo, mi fa bene come mi fa bene l’aspirina, e questo è un aspetto fondamentale.
A noi, alla nostra capacità di nutrire speranza, il compito di togliere alle stelle lo strato di polvere opaca, restituendo al resto del cosmo il loro suggestivo brillio. Alla parola poetica, all’appassionata analisi scientifica, al matrimonio tra i due, continuamente celebrato in ogni cuore umano che non si accontenta, in ogni persona che sceglie di vivere all’erta. Solo così tutto di nuovo si trasforma, tutto è di nuovo magico e suggestivo, quasi stellare. Sempre e di nuovo, tutto è un miracolo domestico.
sull’immancabile canto ‘acqua
così ferma da sembrare un lago rovesciato dal brillio delle stelle
o un miracolo a cena
Add Comment