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John Harrison, il tempo e la longitudine

La misura della longitudine è stata perfezionata grazie all'invenzione del cronografo, dovuta al valente orologiaio inglese John Harrison, che combatté per tutta la vita per vedere riconosciuti i meriti e il valore del proprio lavoro.

Aggiornato il 10 Ottobre 2018

Per determinare la posizione di un punto sulla Terra si utilizza un sistema di coordinate, latitudine e longitudine, che corrispondono alla misurazione di due angoli differenti. L’orologiaio britannico John Harrison ha avuto un ruolo centrale nella determinazione della longitudine: con questo articolo, versione estesa di uno pubblicato sul blog DropSea, ne raccontiamo brevemente la storia.

La posizione di un punto sulla Terra

Un reticolato della superficie della Terra, suddivisa in porzioni dall’incrocio di meridiani e paralleli – via commons
Come sappiamo sin dall’antica Grecia, la Terra è una sfera e viene convenzionalmente suddivisa in 24 spicchi, ognuno largo 15°. Inoltre la superficie del pianeta viene “attraversata” da linee immaginarie dette paralleli e meridiani.
I primi sono definiti come le circonferenze massime ottenibili intersecando la superficie della Terra con piani perpendicolari all’asse di rotazione. La circonferenza massima in assoluto che si può ottenere in questo modo è l’equatore, mentre le circonferenze minime sono i due poli. Un parallelo è anche detto linea di latitudine, che è l’angolo associato all’arco di circonferenza che congiunge l’equatore con il parallelo considerato. Ogni linea che congiunge i due poli geografici è invece detta meridiano o linea di longitudine, ovvero l’angolo est o ovest rispetto a un meridiano di riferimento, quello di Greenwich.
Questo vuol dire che per conoscere la propria posizione sul globo terrestre, bisogna misurare due angoli. Mentre per la latitudine basta misurare l’altezza del Sole o della Stella Polare per l’emisfero settentrionale, o del polo sud celeste per l’emisfero meridionale (da determinare utilizzando la Croce del Sud), la misurazione della longitudine ha per molti secoli costituito un problema piuttosto complesso.
Il metodo più utilizzato è stato per diverso tempo il sestante, lo stesso strumento utilizzato per misurare la latitudine: il problema del sestante è che l’utilizzatore di tale strumento deve avere una buona conoscenza del cielo stellato, che ovviamente deve essere sereno. Per ovviare all’eventuale mancanza di conoscenza del cielo, diventò necessario realizzare delle mappe celesti quanto più precise possibili: è proprio con questo scopo che, per esempio, vennero fondati buona parte degli Osservatorio Astronomici d’Europa. Proprio in questa fase venne stabilito il primato dell’Osservatorio britannico, quello di Greenwich: i suoi Almanachi astronomici erano tra i più accurati e la loro uscita annuale era sempre attesa dai naviganti di mezza Europa. Il lavoro certosino degli Astronomi Reali, iniziando con il primo in assoluto, John Flamsteed, unito con la forza della marina inglese dell’epoca, permise a tale strumento di avere un’ampia diffusione, il che per certi versi fu un problema quando nel 1714 il governo britannico decise di emendare il Longitude Act, una legge che istituiva un premio per chi sarebbe riuscito a inventare un metodo di determinazione della longitudine più preciso della combinazione sestante-almanacco.
A sfidare questa posizione di potere acquisita dalla precisione delle osservazioni e dall’uso diffuso furono gli orologiai, in particolare il britannico John Harrison.

Misurare il tempo sul mare

John Harrison – via commons
Il principale problema nell’utilizzare la misura del tempo per determinare la longitudine è ancora una volta lo strumento utilizzato allo scopo: il pendolo. Esso, però, risentiva dei cambiamenti climatici e, in minima parte, anche dei movimenti della nave causati dalle onde del mare. Poiché ogni minimo errore rischiava di modificare di molto la posizione calcolata rispetto a quella reale, misurare la longitudine attraverso il tempo implicava migliorare e di molto gli orologi.
Sotto la spinta del premio, Harrison iniziò a sviluppare un orologio in grado di misurare il tempo con grandissima precisione. Il suo primo risultato, indicato con la sigla H1, completato nel 1735, avrebbe già ottenuto il premio, ma il suo inventore lo riteneva ancora imperfetto, così decise di migliorarlo ulteriormente. Il modello sucessivo, l’H2, era enormemente migliore: molto più compatto e maneggevole e ancora più preciso del predecessore, era stato presentato alla commissione della longitudine nel 1740. Il premio era stato praticamente assegnato ad Harrison, non solo per l’efficacia dello strumento, ma anche perché l’Astronomo Reale dell’epoca Edmond Halley, era un entusiastico estimatore del lavoro dell’orologiaio.
Questi, però, a causa della sua estrema pignoleria, rifiutò il denaro messo in palio, chiedendo invece ulteriore tempo e fondi per migliorare il progetto. Tale scelta, però, si rivelò nefasta: per la costruzione dell’H3 furono necessari 19 anni nel corso dei quali divenne Astronomo Reale il reverendo Neville Maskelyne, il cui impegno nella diffusione degli Almanacchi Astronomici di Grenwich era stato ben superiore rispetto ai predecessori. Lo steso Maskelyne non vedeva di buon occhio l’uso degli orologi nella risoluzione del problema della longitudine e ciò influenzò pesantemente la commissione della longitudine, che era diventata ostile al lavoro di Harrison.
L’orologiaio britannico, però, non ebbe il piacere di ottenere in vita il giusto riconoscimento, se non per un piccolo premio rilasciato dal parlamento su iniziativa di re Giorgio III. A convincere quest’ultimo della necessità di tale mossa fu in particolare il più grande navigatore dell’epoca, James Cook. Nel corso di uno dei suoi viaggi di esplorazione, Cook portò con sé il cronografo di Harrison perfezionato dal lavoro del figlio William e di uno dei suoi più validi successori, Larcum Kendall.
Così se oggi siamo in grado di misurare la nostra posizione sul pianeta, lo dobbiamo al lavoro, alla passione e al perfezionismo di un orologiaio inglese.

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Scritto da

Gianluigi Filippelli Gianluigi Filippelli

Ha conseguito laurea e dottorato in fisica presso l’Università della Calabria. Tra i suoi interessi, la divulgazione della scienza (fisica e matematica), attraverso i due blog DropSea (in italiano) e Doc Madhattan (in inglese). Collabora da diversi anni al portale di critica fumettistica Lo Spazio Bianco, dove si occupa, tra gli altri argomenti, di fumetto disneyano, supereroistico e ovviamente scientifico. Last but not least, è wikipediano.

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