Lo spazio tra le pagine

Il gran salto nel cosmo

Etty Hillesum: quando le stelle rendono più leggera la prigionia
Già, quelle stelle: per alcune notti, forse un paio, sole e perdute, graffiavano ancora la superficie deserta, ampia del cielo. Un’immagine memorabile: «stelle graffianti»! Ma non c’è niente da fare; stavolta doveva essere detto.Etty Hillesum, Diario

Etty Hillesum è una ragazza olandese che tiene un diario durante l’occupazione nazista (nel periodo tra il 1941 ed il 1943). Un diario in cui scorrono avvenimenti personali ed epocali, in un bilanciamento sapiente tra accurata introspezione ed appassionata registrazione degli eventi – personali, familiari, bellici – che regala a questo libro una durata pressoché eterna.

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“Etty”, disegno di Davide Calandrini – @davidecalandrini – vedi la versione originale

C’è davvero tutto, nel diario. Un testo poderoso, di una una giovane donna che – ironia della sorte – si strugge di voler diventare scrittrice, senza accorgersi di lavorare già al vertice assoluto della produzione del suo secolo. Un testo dal quale si esce come dopo un combattimento. Perché c’è tutto il combattimento di Etty, di questa ragazza che parla delle sue scoperte letterarie, delle sue carnalissime passioni (su tutte, quella per lo psicologo junghiano Julius Spear), dell’amore per la poesia, della sua fede profonda e allo stesso tempo libera da ogni condizionamento.
Etty muore nel campo di concentramento di Auschwitz, il 30 novembre 1943. Le cronache ci dicono che avrebbe anche avuto la possibilità di salvarsi, lavorando come dattilografa presso una sezione del Consiglio Ebraico, ma preferì condividere fino in fondo la sorte del suo popolo.
L’atteggiamento di questa ragazza di fronte alla tragedia (sia collettiva che personale) è luminosamente paradossale, risolvendosi in una attentissima ed ostinata ricerca del bello e del vero, in qualsiasi situazione. Etty dice (e dimostra) che la gratitudine è più forte del dolore.
Proprio nei suoi ultimi giorni di vita, annota una frase come questa:

Il cielo è pieno di uccelli (…) il sole splende sulla mia faccia, e sotto i nostri occhi avviene una strage, è tutto così incomprensibile. Io sto bene.

E il cielo – ecco perché ne scrivo qui – è presente in tantissime pagine del suo corposo Diario. E se il cielo è pieno di stelle, le stelle partecipano del destino dell’uomo, sono parte essenziale del viaggio. Vivendo davvero non si può evitare di parlare alle stelle, ovvero – fuori metafora – di avvertire il cosmo parte integrante della propria esistenza (se no anche l’astronomia alla fine sarebbe solo un divertimento intellettuale, mentre sappiamo che è molto di più). Scrive nel dicembre del 1941,

Ieri sera alle undici c’erano tre stelle nella cornice nera della mia finestra. Adesso c’è un sottile quarto di luna (…) Che cosa non ho detto a quelle tre stelle! E da quale posto del mondo e attraverso quale finestra parlerò di nuovo a quelle stelle, pensando alla sera di ieri?

Sempre nello stesso mese,

Stamattina un paio di stelle erano appese al cielo come lucidi frutti ai rami, scuri e spogli, dell’albero fuori dalla mia finestra.

Nel marzo del 1942,

Già, quegli alberi: a volte, di notte, i loro rami si abbassavano sotto il peso dei frutti delle stelle, mentre ora sono minacciosi pugnali eretti contro il cielo chiaro di primavera. E nella loro nuova forma, nel nuovo paesaggio, sono di nuovo indicibilmente belli.

Ed ancora in aprile (da qui, tutte le citazioni sono del 1942),

Quando ieri sera, alle dieci e mezzo, sono entrata nella mia stanza dove la tenda davanti a quell’unica grande finestra è sempre del tutto aperta, ho trovato là, di nuovo, il mio devastato, solitario albero. Un’esitante stella si arrampicava lungo il suo magro corpo da asceta, ha riposato un po’ nell’incavo di una delle sue membra (?! bello!) e poi si è persa nel cielo ampio, non più catturata tra i rami.

Non è appena una percezione estetica, pur rispettabile. No, è proprio un contatto, che si instaura con le stelle. Un contatto che fa sentire a casa. Dovunque. Ancora in aprile,

… ho tolto il cartone di oscuramento dalla finestra e improvvisamente sono apparse alcune stelle all’altro capo del letto. Non erano le stesse stelle che vedo davanti alla mia finestra, ma ho avuto comunque un contatto con loro e d’un tratto mi ha invasa la sensazione rassicurante che, in qualunque posto del mondo io mi trovi, mi sarà possibile osservare le stelle e lasciarmi cadere su un letto, o sul pavimento o chissà dove, e sentirmi a casa, dovunque.

Sempre nello stesso mese,

Venerdì sera, mentre tornavo da casa sua in bicicletta, attraverso la notte primaverile, ho sparso il grande amore e l’immensa tenerezza che provo per lui (Spear) nella notte, ne ho riversata un po’ nelle stelle e ne ho lasciata un po’ nei cespugli lungo il canale.

Poi a giugno,

Mi mancano tutti gli strumenti per completare il mio lavoro di cesello sulle parole, quel lavoro che molto spesso mi impegna la mente, ma nel quale rimango bloccata proprio perché mi mancano le parole. Non posso nominare nulla della terra con il suo nome: nessuna città, nessun fiore, nessun santo, nessun principe, nessuna stella, niente. Ho bisogno del cosmo intero come similitudine per dare un contesto a ciò che sta nascendo dal profondo della mia anima, con tanta potenza e colore. Devo imparare ancora molto: i nomi che le persone attraverso le epoche hanno dato alle loro città, ai loro fiori, alle loro stelle, per poi poterli aggiungere, come altrettanti colori, alla mia povera tavolozza di parole.

A settembre,

Dunque, con quell’unica camicia nello zaino me ne vado incontro a un «avvenire sconosciuto». Così si dice. Ma sotto i miei piedi girovaghi non c’è forse dappertutto la stessa terra? E lo stesso cielo – ora con la luna, ora col sole, per non parlare di tutte le stelle – non si stende forse sopra i miei occhi rapiti? Perché si dovrebbe parlare di un «avvenire sconosciuto»?

Ad ottobre,

Le mie impressioni sono sparse come stelle sfavillanti sullo scuro velluto della mia memoria.

Ma soprattutto questo, nel luglio 1942, dove Etty probabilmente annota una della più belle e più vere dichiarazioni di libertà, che si possano mai aver trovare espresse da animo umano.

La vita è così curiosa e sorprendente e infinitamente piena di sfumature, a ogni curva del suo cammino si apre una vista del tutto diversa. La maggior parte delle persone ha nella propria testa delle idee stereotipate su questa vita, dobbiamo nel nostro intimo liberarci di tutto, di ogni idea esistente, parola d’ordine, sicurezza; dobbiamo avere il coraggio di abbandonare tutto, ogni norma e appiglio convenzionale, dobbiamo osare il gran salto nel cosmo, e allora, allora sì che la vita diventa infinitamente ricca e abbondante, anche nei suoi più profondi dolori.

Proprio in questo gran salto nel cosmo è la sfida perpetua che Etty ci lascia come eredità cristallina e immarcescibile. Perché esiste tutto questo effluvio di stelle, intorno a noi? Certo, ognuno è libero di articolare la sua risposta. La mia è questa: il cosmo esiste per essere liberi, perché con la sua ricchezza ed il suo mistero rappresenta una perpetuo invito al superamento dei nostri schemi, del nostro pensare terra terra (appunto). Interiormente liberi, qualunque siano le condizioni esterne (e quelle di Etty erano certamente terribili).
Elevare lo sguardo alle stelle è sempre un primo piccolo ma indiscutibile moto verso la rivoluzione. Di sé stessi e del mondo intero. A volte non lo capiamo, a volte lo scordiamo. Altre volte, a ricordarcelo è una ragazzina impertinente, impenitente, dolcissima e geniale che ha offerto la sua vita procedendo lieta verso la morte nel campo di concentramento. Di una letizia che rimane umamanente inspiegabile. Di una letizia che certo, chiama in causa loro.

Le stelle, appunto.

1 Comment

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  • ” il cosmo esiste per essere liberi, con la sua ricchezza ed il suo mistero rappresenta una perpetuo invito al superamento dei nostri schemi,” Questo pensiero è bellissimo. Grazie Marco Castellani per questo artico;o che i ricordando Etty, invita oggi noi ad alzare lo sguardo per cogliere il significato del nostro vivere .

Scritto da

Marco Castellani Marco Castellani

Ricercatore presso l'Osservatorio Astronomico di Roma. Si interessa di popolazioni stellari ed è nel team scientifico del satellite GAIA di ESA. Divulgatore e scrittore per passione, gestisce da anni il blog divulgativo Sturdust.blog (già GruppoLocale.it) e coordina il progetto Altrascienza.it.

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