Con l’attuale tecnologia a disposizione, il modo più utilizzato per determinare il contenuto di materia nell’universo è quello di misurare il numero e la massa dei gruppi di galassie per unità di volume (si potrebbe, per esempio, prendere una sfera di qualche milione di anni luce di raggio: considera, per esempio, che la galassia di Andromeda, cui siamo gravitazionalmente legati, è distante all’incirca 2.5 milioni di anni luce da noi) e confrontarli con le previsioni delle simulazioni. Ovviamente a complicare la misura c’è la materia oscura, non osservabile se non indirettamente grazie alla sua interazione gravitazionale con la materia ordinaria.
Le simulazioni, a loro volta, sono impostate per produrre risultati con rapporti diversi tra materia ordinaria e materia oscura e, a loro volta, con rapporti differenti con l’energia oscura. Il modello matematico di base di tutto ciò è la relatività generale di Albert Einstein, quindi sicuramente nessuna illazione filosofica basata sul nulla, ma un solido modello più volte verificato nel corso dell’ultimo secolo di osservazioni dell’universo.
Inoltre, anche ammesso di non avere a disposizione un unico modello, potremmo selezionare i modelli più efficaci proprio grazie alle loro "capacità " di spiegare le osservazioni sperimentali.
C’è, poi, effettivamente un interessante metodo alternativo a quello descritto poco sopra: un gruppo di ricerca internazionale ha sviluppato uno strumento cosmologico che permette di misurare la massa dei gruppi di galassie a partire dalle orbite delle galassie che li compongono. Grazie a questo strumento, il gruppo è riuscito a costruire un catalogo di galassie e ha successivamente stimato in maniera ancora più precisa la quantità di materia (ordinaria e oscura) nell’universo.
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