[vc_row gap=”10″][vc_column width=”2/3″][vc_single_image image=”10799″ img_size=”full”][vc_custom_heading text=”I ricordi di…” font_container=”tag:h4|text_align:left|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_custom_heading text=”…Anna Wolter” font_container=”tag:h4|text_align:right|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_column_text]
Riccardo è stato un gigante dell’astronomia – un grande scienziato e un grande manager, non posso non provare orgoglio nell’averlo conosciuto. Sono già state raccontate le sue grandi imprese, e non devo testimoniare io della sua importanza, non solo nell’inventare l’astronomia X ma anche nel portare molte delle “buone pratiche” cresciute in quel campo anche in quello dell’astronomia ottica, nei suoi anni di Direttore Generale dell’ESO, in cui fu progettato e costruito il VLT. Gli incontri con Riccardo sono sempre stati proficui, e anche il mio primo vero lavoro scientifico è stato su un progetto che lui aveva fortemente voluto: una indagine – la più ampia e profonda per un lungo periodo di tempo – di sorgenti “casuali” del cielo X, realizzata con i dati del primo satellite per astronomia X dotato di un telescopio, cioè con le prime vere immagini del cielo ad alta energia. Non sempre sono stati facili, quegli incontri: non potrò mai dimenticare il giorno in cui, davanti a tutti i partecipanti a un congresso, accusò me, la più giovane ma l’unica presente in quel momento del nostro gruppo di ricerca, di aver ottenuto risultati sbagliati, che oltretutto avevano l’”ardire” di andare in direzione opposta a quel che lui fortissimamente voleva. Non penso di averlo convinto all’epoca – operazione non facile! – ma so che mi sono difesa bene, e l’articolo che riportava quei dati è stato non solo molto citato ma anche confermato nei suoi risultati negli anni successivi.
Tutti noi dobbiamo a lui, così come a Bruno Rossi e a Beppo Occhialini, il mestiere che facciamo. Dobbiamo a lui una finestra sull’universo, ma anche una visione di come fare scienza, in modo moderno e collettivo. Con regole rigide ma anche con un traguardo alto, importante anche se lontano.
Il legame di Riccardo con Milano è stato importante. Non solo l’Università in cui ha studiato, ma anche, brevemente, insegnato. Il suo inizio e la sua conclusione. La sua ultima partecipazione ufficiale a un congresso astronomico fu nel 2012, a uno dei meeting organizzati per le celebrazioni dei 50 anni di astronomia X, ufficialmente nata nel 1962 e glorificata con il suo premio Nobel del 2002. Nell’incontro, in cui si auspicavano fasti per i prossimi 50 anni di astronomia X, Riccardo era l’ospite d’onore, riconosciuto “padre dell’astronomia X”.
Due furono i maggiori congressi quell’anno: a settembre a Mykonos – un cielo blu come sa solo essere in Grecia, esaltato dalle case bianchissime – Riccardo ricorda quali scelte tecniche portarono al volo Aerobee del 1962.
Ma a Milano, in ottobre, ci concede una sorta di riassunto della sua carriera. L’articolo che descrive il suo intervento è esplicito nell’intento: fare chiarezza su alcune controversie del passato e esprimere speranza nel futuro della disciplina. Lo dice fin dalle prime righe.
Ma la lezione principale è scandita dai titoli dei paragrafi: “Learn Think Plan and Do”. E ricordo perfettamente, e l’ho anche subito sfruttato come chiusa per alcune mie conferenze, il suo augurio, anzi, il suo imperativo:
“WE MUST HOWEVER ENSURE THAT THE NEW GENERATION OF ASTRONOMERS WILL HAVE THE OPPORTUNITY TO LEARN – THINK – PLAN AND DO. “
Lo ha sempre sentito come compito suo e deve essere il suo lascito, deve diventare compito nostro: permettere ai giovani, alle nuove generazioni, di avere uno spazio per imparare e per pensare, ma anche per fare progetti e per lavorare con le proprie mani, di essere protagonisti di se stessi.
[/vc_column_text][vc_single_image image=”10689″ img_size=”full” add_caption=”yes” onclick=”custom_link” img_link_target=”_blank”][vc_custom_heading text=”…Luigi Stella” font_container=”tag:h4|text_align:right|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_column_text]
La figura scientifica di Riccardo Giacconi ha avuto un ruolo chiave nell’astrofisica moderna. Lo sviluppo dell’astronomia a raggi X, e molti degli straordinari risultati che ne sono scaturiti a partire dagli anni sessanta, sono indissolubilmente legati al suo nome e alla sua visione.
Delle sue attività in più rami dell’astronomia e dei suoi immensi meriti parlano centinaia di pubblicazioni scientifiche e diversi testi divulgativi: non proverò neanche ad accennarne un riassunto in questa sede.
Prima di passare ad alcuni ricordi personali, vorrei sottolineare che centinaia di scienziati, tra cui molti italiani, si sono formati e hanno lavorato direttamente nel suo gruppo o negli istituti di cui è stato direttore nelle varie fasi della sua carriera. Io sono tra questi: Giacconi è stato una figura determinante e di prima grandezza del mio percorso, nell’arco di oltre trenta anni.
Nel 1979 ero ancora studente di Fisica quando, a margine di una conferenza tenuta di Giacconi durante una sua visita a Roma, notai che un mio professore, scienziato autorevole e molto sicuro di sè, dimostrava dinanzi lui una sorta di soggezione che non aveva con nessun altro. Da quello ebbi sentore della statura scientifica di Giacconi, prima ancora di sapere del campo di ricerca che aveva creato, appunto l’astronomia a raggi X, e che all’epoca dominava già da due decenni.
Un paio di anni dopo arrivai come borsista nel gruppo di Giacconi allo Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics a Cambridge nel Massachusetts. Mi ricevette nel suo studio: mi spiegò senza mezzi termini che il modello al quale intendevo lavorare non avrebbe portato a nulla, mi dette un paio di idee diverse e mi indicò due scienziati con cui collaborare. Gliene fui davvero grato: quel modello non convinceva neanche me e di lì a poco il mio lavoro nel suo gruppo era già decollato. Qualche mese dopo Giacconi si trasferì a Baltimora per dirigere (e rivoluzionare) lo Space Telescope Science Institute. Subito prima mi fu chiesto dall’Italia di portargli riservatamente l’ambasciata che “un suo viaggio a Stoccolma avrebbe avuto luogo assai presto”: la scrissi in un foglio che imbustai e lasciai alla sua segretaria. Non era evidentemente nè il primo nè l’ultimo rumour di questo tipo che Giacconi raccoglieva, se nella sua autobiografia si dichiara fortunato di averli sempre ignorati.
Il periodo che avevo trascorso nel suo gruppo al CfA era stato assai produttivo per me. Negli anni che seguirono incontrai molte volte Giacconi: manifestava sempre interesse alla mia attività, nonostante lavorassi ad altri programmi e dal lato opposto dell’oceano. A poco a poco ebbi modo di conoscerlo meglio: il suo carattere deciso e generoso, talvolta ruvido, era anche pieno di humour e giovialità. In più occasioni avevo notato quanto poco apprezzasse piaggeria e finzione; era capace di risposte fulminanti a chi si rivolgesse a lui con fare adulatorio. Nei ruoli che ricopriva si trovava a spesso a prendere decisioni importanti, talvolta anche difficili e impopolari, ma la sua capacità manageriale nell’innovare e imprimere impulso ai programmi a cui lavorava, spesso di grande scala, era diventata pressochè leggendaria. A colpirmi più di ogni altra cosa era il suo modo di parlare di scienza: la discussione con lui era sempre aperta e vivace, praticamente paritaria, a contare erano argomentazioni e idee, non chi le portasse avanti.
Nel 1991 aveva accettato una cattedra per chiara fama all’Università Statale di Milano, la stessa nella quale era stato studente negli anni 50. Mi chiese di affiancarlo nell’insegnamento del corso di Astrofisica di cui era diventato titolare, tenendo io le lezioni (una metà circa) nei periodi in cui rientrava negli Stati Uniti a continuare il suo lavoro. A pochi minuti dall’inizio della sua prima lezione, mi disse “assolutamente devo far capire agli studenti che non so qualche cosa”. Desiderava cioè palesare nelle sue lezioni quello che io – docente alle prime armi – facevo di tutto per nascondere nelle mie. Il senso profondo di quella frase mi divenne chiaro solo negli anni, dopo aver imparato a imparare dai miei studenti. Fu quello il periodo in cui lo frequentai più assiduamente. Giacconi era un docente eccellente, aveva insegnato molti anni ad Harvard e alla Johns Hopkins University e sapeva perfettamente come coinvolgere gli studenti. Registrai gran parte delle sue bellissime lezioni milanesi, tra cui le prime tre, qui riprodotte. Tuttavia più volentieri che al ruolo di professore, cioè di “docente frontale”, credo si richiamasse a quello di leader nella ricerca, ispiratore e maestro – anche di giovani – del lavoro scientifico nella sua interezza.
Giacconi in quegli anni aveva avuto un’idea che considerava tra le sue migliori: un telescopio a grande campo che, grazie a una geometria molto particolare, potesse mappare il cielo in raggi X con una precisione senza uguali. Lo studio che ne era seguito aveva portato al progetto di un satellite scientifico di piccole dimensioni, in chiara controtendenza rispetto a mastodontici e costosissimi programmi, rivelatisi poi infattibili, che le agenzie spaziali portavano avanti in quegli anni. Assieme a Guido Chincarini, allora direttore dell’Osservatorio Astronomico di Brera, Giacconi organizzò una riunione a Tremezzo con scienziati e rappresentanti dell’Agenzia, delle industrie spaziali e del mondo politico italiano, allo scopo di promuovere missioni spaziali piccole, poco costose e con tempi sviluppo ridotti. L’obiettivo di quella riunione fu evidentemente preveggente se adesso, a distanza di oltre due decenni, in tutto il mondo si lavora alacremente alla realizzazione di piccoli, mini e micro satelliti. Purtroppo in Italia all’epoca non ebbe il seguito sperato. Il periodo per metà milanese di Giacconi volgeva alla fine: il nuovo impegno che aveva assunto con la direzione dello European Southern Observatory non gli consentiva di continuare.
Nel 1997 il Festschrift che Remo Ruffini, Herbert Gursky ed io organizzammo a Roma per il 65-esimo compleanno di Giacconi fu una manifestazione corale dell’enorme stima che colleghi e collaboratori di ogni stagione riponevano in lui; in molti vennero a celebrarlo dagli Stati Uniti e da tutta Europa. Le presentazioni dei partecipanti, poi raccolte in una monografia, restituivano, tra risultati scientifici e ricordi personali, uno spaccato di grande intensità e dalle molte sfaccettature della carriera di Giacconi.
Il “viaggio a Stoccolma” arrivò nel 2002: il 9 ottobre tutti i maggiori quotidiani italiani riportavano in prima pagina e con grande enfasi la notizia del Premio Nobel a Giacconi : “Un italiano “emigrato” è Nobel per la fisica” – titolava il Corriere della Sera; “Giacconi, il Nobel per l’universo invisibile”, il Sole 24 ore; “Un Italiano tra i Nobel per la Fisica”, la Repubblica.
Nell’ambiente astrofisico italiano l’entusiasmo fu tale che Giacconi stesso lo paragonò scherzosamente a quello per la vittoria in un campionato mondiale. Nella realtà il Nobel era un riconoscimento molto più che dovuto al suo lavoro e alla messe di risultati fondamentali che aveva portato.
L’ultima volta che incontrai Giacconi fu nel 2012 in occasione del grande congresso per i 50 anni dell’astronomia nei raggi X, organizzato a Milano e largamente a lui dedicato. Gli parlai del progetto al quale lavoravo: seppur lontano dai suoi interessi lo incuriosiva e, come era uso fare, mi lanciò ancora una volta degli spunti interessanti. A lui, scienziato immenso e ineguagliabile maestro, va il mio ricordo grato ed affettuoso.
[/vc_column_text][vc_single_image image=”10690″ img_size=”full” add_caption=”yes” onclick=”zoom”][vc_custom_heading text=”…Gianpiero Tagliaferri” font_container=”tag:h4|text_align:right|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_column_text]
All’inizio della mia carriera di giovane astronomo delle alte energie, nei lontani anni ’80 quando mi trovavo all’ESA, vedevo Riccardo Giacconi, il padre dell’astronomia X, quasi come un “mito”. Una volta rientrato in Italia agli inizi degli anni ’90 presso l’Osservatorio Astronomico di Brera, l’allora Direttore, Guido Chincarini, mi coinvolse nel progetto WFXT, un satellite per raggi X a grande “campo”, caratterizzato da un’ottima qualità dell’immagine su un campo di vista di almeno un grado. Un satellite ideato da Giacconi che era stato proposto dal suo team alla NASA, selezionato per un primo studio di fattibilità, ma non venne poi approvato. D’accordo con Giacconi, Chincarini pensò di riproporre il satellite all’ASI e io fui coinvolto con il ruolo di Project Manager. Mi trovai quindi catapultato in una eccitante avventura che mi portava ad avere incontri di lavoro proprio con Giacconi! Mi ricordo ancora il primo incontro che ebbi con lui a Baltimora, ero molto emozionato ma con Riccardo non si perdeva molto tempo in convenevoli e si passava subito a discutere da pari a pari delle cose da fare. A Riccardo non piacevano le piaggerie e non esitava un attimo a dire che una cosa era una stupidaggine, se pensava che lo fosse, indipendentemente da chi l’avesse detta. Una cosa che uno percepiva immediatamente era la sua fortissima personalità, lui aveva ben chiaro quali erano i problemi (secondo lui …) e come andavano affrontati. Era molto aperto al confronto, ma se si voleva controbattere alle sue convinzioni bisognava essere “ben attrezzati” ed essere pronti anche a un trattamento “brusco”. Successivamente incontrai Riccardo più volte, sia per riunioni di lavoro nell’ambito di WFXT, che a congressi, e ogni volta ho avuto la stessa impressione di lui, il tempo sembrava non scalfirlo minimamente almeno nel carattere e nella lucidità dell’analisi.
Quando si interagisce con persone come Riccardo, non si resta mai indifferenti e si rimane sempre influenzati in un modo o nell’altro. Quello che mi stupì era il suo pensare in grande ma sempre in modo concreto: aveva in mente un goal scientifico ben preciso e per realizzarlo proponeva un nuovo satellite, totalmente innovativo ma altrettanto fattibile! Del resto era quello che aveva già fatto con successo più volte in passato! Purtroppo con WFXT non ci riuscì, dico purtroppo perché è un progetto ancora di altissima rilevanza scientifica a 30 anni di distanza. Speriamo che prima o poi la comunità scientifica riesca a realizzarlo.
[/vc_column_text][vc_single_image image=”10688″ img_size=”full” add_caption=”yes” onclick=”custom_link” img_link_target=”_blank”][vc_custom_heading text=”…Giovanni Pareschi” font_container=”tag:h4|text_align:right|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_column_text]
Riccardo Giacconi, premio Nobel per la Fisica 2002, è scomparso circa un mese fa. Ho conosciuto di persona Riccardo piuttosto tardi (credo fosse il 2008), quando Steve Murray organizzò un incontro ad hoc in un locale nei pressi del Goddard (NASA) a Washington. Riccardo, insieme a un gruppo di colleghi in Italia e in USA, voleva riproporre il telescopio spaziale per raggi X WFXT (Wide Field X-ray Telescope). L’Osservatorio di Brera aveva già studiato la missione e la questione degli specchi radenti a largo campo, e saremmo stati coinvolti. Io ero emozionatissimo, mi avevano parlato di Riccardo come una persona piuttosto burbera. Il primo approccio fu in effetti alquanto problematico quando, dopo i convenevoli, in italiano mi chiese bruscamente se mi occupavo solo di tecnologia o anche di scienza, ammonendomi sul fatto che il Direttore dell’Osservatorio di Brera dovesse essere soprattutto un ricercatore. Io risposi un po’ impacciato dicendo che mi occupavo soprattutto di tecnologie ma che, certamente, il mio interesse era rivolto alla scienza e che ho sempre pensato alla tecnologia non come fine a se stessa. Il ghiaccio si sciolse quasi subito, quando dalla borsa tirò fuori la copia di un suo vecchio articolo sulle ottiche per raggi X che aveva portato apposta per me (e che conservo gelosamente) e io immediatamente gli dissi – con entusiasmo – che conoscevo quel lavoro benissimo, e l’avevo citato più volte nella mia tesi di dottorato. Lui si mostrò molto contento dimostrandomi da quel momento molta simpatia e, credo di poterlo dire, anche stima, sostegno e amicizia in diverse occasioni.
Per quattro anni avemmo contatti frequenti. Infatti, insieme a Oberto Citterio, Paolo Conconi, Gianpiero Tagliaferri e il gruppo ottiche X di Brera cominciammo il progetto e lo sviluppo di prototipi per le ottiche radenti polinomiali a grande campo per dimostrare la fattibilità di WFXT. La missione fu proposta nell’ambito della Decadal Survey 2010. Anche se a quell’epoca non fu selezionata, il lavoro è poi continuato ed è evoluto nella missione Lynx che speriamo sia scelta nell’ambito della prossima Decadal Survey 2020. Di questo periodo (dal 2008 al 2012) ho molti ricordi e credo di avere imparato cose importanti. Ho scoperto nel tempo che Riccardo, piuttosto che una persona semplicemente burbera, era invece un uomo schietto, pragmatico e con un grande amore per la scienza. Pur avendo una personalità molto forte (è un eufemismo…), non gli piacevano gli “yes-man”, accettava sempre la discussione e il confronto a pari livello.
I ricordi più cari sono legati alle due ultime occasioni in cui l’ho incontrato, nelle due conferenze in suo onore organizzate nel 2012 a Mykonos e a Milano in occasione dei 50 anni di astronomia in raggi X. A Mykonos io ero stato invitato a presentare le ottiche X, parlando anche dell’epoca pionieristica in cui Riccardo, Bruno Rossi e i loro collaboratori fecero i primi esperimenti di focalizzazione con ottiche radenti negli anni ’60 (ero preoccupato di dire stupidaggini). Entrato nella sala della conferenza al mattino presto con largo anticipo, lo trovai già lì e mi salutò con molto calore. Quando gli espressi le mie preoccupazioni per l’intervento, si mise a ridere, mi prese a braccetto e cominciò a camminare con me intorno alla stanza per circa 20 minuti, parlando di tante cose, di scienza e personali. Confesso di essere stato molto orgoglioso (è un episodio che racconto spesso in famiglia, un vero e proprio tormentone), ero guardato con molta invidia da tutti i colleghi intorno, con qualche giovane che ogni tanto ci fermava per chiedere di fare una fotografia con Riccardo. Il meeting di Milano era stato organizzato da noi di INAF di Milano, ci fece il regalo di venire lo stesso malgrado un brutto raffreddore che lo tormentava. Il congresso è stato un grande successo e penso sia stata l’occasione per il suo ultimo discorso pubblico. Lo abbiamo visto tutti molto felice in mezzo ai maggiori attori dell’astronomia X. Credo che per lui questa conferenza abbia rappresentato anche un modo per risolvere il suo rapporto conflittuale – ma di amore – con l’Italia (e la città di Milano in particolare). In quell’occasione ci ha donato una bellissima intervista, una sorta di testamento morale, con Piero Bianucci (il film, girato nel corridoio degli strumenti di Brera, è disponibile su youtube). Quando con Ginevra Trinchieri l’ho accompagnato in macchina verso il Museo della Scienza e delle Tecnologie, dove si svolgeva il congresso, come mio solito mi stavo perdendo per le strade di Milano. Riccardo, ridendo, mi prese in giro e si mise lui a darmi le indicazioni stradali lasciandosi scappare che, dopo tanti anni, non aveva mai dimenticato quella che in fondo era la sua città.
[/vc_column_text][vc_single_image image=”10758″ img_size=”full” add_caption=”yes” onclick=”zoom”][vc_custom_heading text=”…Oberto Citterio” font_container=”tag:h4|text_align:right|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_column_text]
Ho avuto il privilegio di una pluriennale collaborazione con Riccardo Giacconi in occasione del progetto WFXT (Wide Field X-ray Telescope) partecipando con il team di INAF-OAB allo sviluppo delle ottiche X per questa missione spaziale.
WFXT è stato un progetto fortemente supportato da Riccardo che, nella sua creativa visione della moderna astrofisica, aveva intravisto il notevole interesse per lo sviluppo di un sistema di ottiche per raggi X con risoluzione angolare costante su grande campo di vista, particolarmente indicato per survey di sorgenti celesti emittenti in raggi X. Come noto agli esperti del settore, le ottiche per raggi X costruite secondo lo schema Wolter 1 permettono di raggiungere elevate risoluzioni angolari solo sull’asse ottico. Su larghi campi ottici intervengono aberrazioni che degradano significativamente la qualità dell’immagine. Riccardo ebbe l’intuizione di sostituire il profilo delle ottiche tipo Wolter 1 con un profilo polinomiale studiato da C. J. Burrows. Con il suo entusiasmo, convinse il team di INAF-OAB a effettuare lo sviluppo di un prototipo di specchio X con questo tipo di profilo. In OAB ci impegnammo fortemente per la realizzazione di questo prototipo e dopo una serie di sviluppi realizzammo uno specchio in carburo di silicio (SiC) che, alle prove con raggi X, permise di raggiungere la risoluzione angolare di 10 arcsec su un campo di vista di 1°, con la potenzialità di fare ancora meglio: il goal all’epoca era di 5 arcsec. Questa dimostrazione convinse il team di WFXT a proporre sia all’ASI che alla NASA questa missione per survey a grande campo di oggetti celesti emittenti in raggi X. La missione fu selezionata per una prima fase di studio dall’ASI, ma successivamente la scelta di altre priorità programmatiche sia in ambito ASI che NASA non permise alla missione di essere realizzata.
Ho la convinzione che questa missione sia tuttora scientificamente valida e spero che possa essere ripresa nel vicino futuro.
La collaborazione con Riccardo ha costituito un piacevole periodo della mia vita professionale, ricevendo io un continuo stimolo all’innovazione tecnologica unitamente all’acquisizione di competenze nel moderno management di progetti astrofisici essendo Riccardo un vero maestro in questi aspetti.
[/vc_column_text][vc_single_image image=”12427″ img_size=”full” add_caption=”yes” onclick=”zoom”][vc_custom_heading text=”…Alvio Renzini” font_container=”tag:h4|text_align:right|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_column_text]Il mio ricordo più bello di Riccardo è nell’occasione in cui mi assunse come
VLT Program Scientist e mi disse: “When you don’t know what to do ask yourself ‘What is better for Science? Cosa è meglio per la Scienza?'”[/vc_column_text][vc_custom_heading text=”…colleghi INAF” font_container=”tag:h4|text_align:right|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_column_text]I ricordi personali di chi ha conosciuto e lavorato con il premio Nobel 2002 per la Fisica e ha voluto testimoniarlo qui, sulle pagine di Media Inaf: Salvatore Sciortino, Sperello di Serego Alighieri, Gianni Zamorani, Piero Rosati, Stefano Borgani, Roberto Gilli, Maurizio Paolillo e Paolo Tozzi
Continua su Media INAF[/vc_column_text][vc_custom_heading text=”…Piero Rosati” font_container=”tag:h4|text_align:right|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_column_text]su Science[/vc_column_text][vc_custom_heading text=”…Giuseppina Fabbiano” font_container=”tag:h4|text_align:right|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_column_text]su Nature[/vc_column_text][vc_separator][vc_row_inner][vc_column_inner width=”1/2″][vc_custom_heading text=”Bianucci intervista Giacconi” font_container=”tag:h4|text_align:left|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_video link=”https://www.youtube.com/watch?v=Su_ysSuCnRw”][vc_column_text]Il 3 ottobre 2012, nella suggestiva cornice dell’Osservatorio Astronomico di Brera dell’INAF, il Nobel Riccardo Giacconi ha ripercorso, insieme al giornalista scientifico Piero Bianucci, la storia degli esordi dell’astronomia X.[/vc_column_text][/vc_column_inner][vc_column_inner width=”1/2″][vc_custom_heading text=”Media INAF intervista Giacconi” font_container=”tag:h4|text_align:left|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_video link=”https://www.youtube.com/watch?v=afa6daZvnAw”][vc_column_text]In quest’intervista raccolta nel 2009 da MediaInaf Tv, il Premio Nobel Riccardo Giacconi ricorda l’epoca pionieristica dei primi lanci nello spazio di strumenti per l’astronomia X e parla del Nobel.[/vc_column_text][/vc_column_inner][/vc_row_inner][vc_separator][vc_column_text]
L’atmosfera interna era molto favorevole alla ricerca. C’era un clima di fiducia reciproca e di razionalità. Secondo me questo è un elemento essenziale perché l’attività di ricerca si svolga nel migliore dei modi: deve prevalere un clima di razionalità. In un’atmosfera feudataria, autoritaria, oppure dove ci sia troppa burocrazia, dove la gente ha paura di perdere il posto, in cui i capricci personali prevalgono, in cui la misura del successo è una misura di valutazione personale invece che obiettiva, i ricercatori lavorano molto male, perché alla fin fine gli scienziati sono come bambini, sono curiosi e hanno bisogno di un clima che sia favorevole al loro lavoro. Questo è un atteggiamento che io cerco sempre di tenere presente, cerco cioè di creare un’atmosfera di consensualità in cui anche i sacrifici sono accettati perché si capisce perché vengono richiesti. Non è che io rinunci al ruolo di dirigere, ma cerco di farlo motivando le mie decisioni. E credo che i maggiori picchi di ricerca si raggiungano quando si riesce localmente a stabilire un clima di ricerca razionale. È possibile che un sistema locale razionale e un ambiente esterno irrazionale coesistano, ma è possibile solo per poco tempo.
Da “L’occhio nel cielo”, 1987, R. Giacconi, Montedison, pag. 27[/vc_column_text][/vc_column][vc_column width=”1/3″][vc_row_inner][vc_column_inner width=”1/2″][vc_single_image image=”12607″ img_size=”full” alignment=”center”][/vc_column_inner][vc_column_inner width=”1/2″][vc_single_image image=”12608″ img_size=”full” alignment=”center” onclick=”custom_link” link=”http://edu.inaf.it/index.php/riccardo-giacconi-in-milano/”][/vc_column_inner][/vc_row_inner][vc_custom_heading text=”CRONOLOGIA” font_container=”tag:h4|text_align:left|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_column_text]1931 – Nasce a Genova il 6 ottobre, figlio unico del padre Antonio. La madre, Elsa Canni, è docente di matematica e fisica presso il Liceo Vittorio Veneto di Milano, liceo che lui stesso frequenterà.
1954 – Si laurea in Fisica (all’epoca e ancora per molto tempo il più elevato titolo di studi riconosciuto in Italia) all’Università degli Studi di Milano, con il gruppo di Giuseppe Occhialini, lavorando con la camera a nebbia – ancora conservata dall’Università.
1956 – Si trasferisce, su consiglio di Occhialini, negli Stati Uniti d’America, con una borsa Fulbright, prima alla Indiana University e poi alla Princeton University per lavorare al Princeton Cosmic Ray Laboratory ove lavora sui mesoni e la ricerca di nuove particelle.
1959 – Riceve un’offerta di lavoro dall’American Science and Engineering (Cambridge, Massachusetts) per avviare un programma di ricerche spaziali. Su consiglio di Bruno Rossi decide di concentrarsi sulle osservazioni alle lunghezze d’onda dei raggi X. Di fatto, questa decisione segna l’inizio dell’Astronomia a Raggi X.
1962 – Riesce a far lanciare dal Ministero della Difesa USA il razzo Aerobee che porta a bordo tre contatori Geiger dotati di anticoincidenza. L’articolo che riporta i risultati del volo – “Evidence for X-Rays from Sources outside the Solar System”, di Giacconi, Gursky, Paolini e Rossi – contiene la figura forse più famosa: quella che illustra la scoperta della prima sorgente extra-solare, Sco X-1, e del fondo cosmico di raggi X.
1970 – Sviluppa il satellite Uhuru, che in swahili significa libertà, con il finanziamento della NASA, e si adopera per utilizzare la piattaforma italiana San Marco, in Kenya, diretta del Prof. Luigi Broglio, in modo da raggiungere un’orbita equatoriale con un razzo più piccolo. Si realizza la prima mappa del cielo nei raggi X con 339 sorgenti distinte e i primi buchi neri.
1973 – Con il suo gruppo si sposta all’Harvard Smithsonian Center for Astrophysics di Cambridge, Massachusetts (USA). Come Associate Director sviluppa e lancia, nel 1978, il primo telescopio per Astronomia X, l’osservatorio Einstein. Il lavoro di pianificazione, organizzazione e archivio dei dati di Einstein diviene lo standard di accesso “aperto” ai dati che ora è utilizzato diffusamente dalla NASA.
1976 – Insieme con Harvey Tananbaum propone il successore di Einstein, che sarebbe volato due anni dopo! Sarà il satellite Chandra, che richiede circa vent’anni per essere sviluppato.
1981 – Visto il ritardo nella progettazione di Chandra (allora chiamato AXAF), si sposta a Baltimora dove diviene Direttore dello Space Telescope Science Institute dove gestisce e supervisiona il lancio del telescopio spaziale Hubble dalla NASA/ESA.
1990 – Primi articoli (Giacconi & Burg 1990, Giacconi 1990, Burg, Burrows & Giacconi 1990) sul concetto di ottiche X a largo campo. Il telescopio che non riesce a costruire: il Wide Field X-ray Telescope.
1991 – Accetta una cattedra per chiara fama in Astrofisica all’Università degli Studi di Milano.
1993 – Diviene Direttore Generale dell’ESO, dove porta le moderne tecniche di gestione e del trattamento aperto e condiviso dei dati. Durante la sua direzione l’NTT viene perfezionato e l’ambizioso progetto del VLT viene realizzato. I primi due telescopi dei 4 UT da 8,2 metri del VLT vedono la prima luce prima della fine del suo mandato.
1997 – Partecipa allo studio di fattibilità di un satellite Wide Field, WAXS, promosso e guidato da Guido Chincarini e sottoposto all’ASI; il progetto viene finanziato per la fase A, ma non selezionato per il lancio.
1999 – Torna negli USA come professore alla Johns Hopkins University
1999 – Assume la Presidenza dell’Associated University Incorporated dove si occupa, tra l’altro dell’Atacama Large Millimiter-Submiliilmeter Array (ALMA).
2002 – Viene insignito del Premio Nobel per la Fisica: “per i contributi pionieristici all’astrofisica, che hanno portato alla scoperta delle sorgenti cosmiche di raggi X.”
2012 – Partecipa come ospite d’onore alle conferenze per la celebrazione dei 50 anni dell’Astronomia X a Mykonos e Milano.
2018 – Muore a S. Diego il 9 dicembre.
L’asteroide 3371 Giacconi porta il suo nome. I premi, i riconoscimenti e le lauree honoris causa ricevute in vita sono numerosi. [/vc_column_text][vc_single_image image=”10685″ img_size=”full” add_caption=”yes” alignment=”center” onclick=”custom_link” img_link_target=”_blank” link=”http://www.museoscienza.org/attivita/mostre/marte/”][vc_separator][vc_custom_heading text=”Bibliografia” font_container=”tag:h4|text_align:left|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_column_text]“Secrets of the Hoary Deep”, 2008, R. Giacconi, Johns Hopkins University Press
“Revealing the Universe” 2001 W. Tucker, K. Tucker, Harvard University Press
“Exploring the Universe: a Festschrift in Honor of Riccardo Giacconi”, 2000. H. Gursky, Ruffini and L. Stella (Editors), Advanced Series in Astrophysics and Cosmology, Vol. 13, World Scientific
“L’occhio nel cielo” R. Giacconi, 1987, Montedison
“L’universo in raggi X” 1985 R. Giacconi, W. Tucker, Mondadori-EST
“Glimpsing an invisible universe” 1983 R.F. Hirsh, Cambridge Univ. Press
“Considerations on X-ray astronomy: A start in X-ray astronomy“, 2013 R. Giacconi, Mem.SAIt, Vol. 84 n. 3, 2013[/vc_column_text][vc_separator][vc_custom_heading text=”Le lezioni” font_container=”tag:h4|text_align:left|color:%231d71b8″ google_fonts=”font_family:Montserrat%3Aregular%2C700|font_style:700%20bold%20regular%3A700%3Anormal”][vc_column_text]Nel 1991 l’Università degli Studi di Milano chiama Riccardo Giacconi a ricoprire la cattedra di Astronomia, per chiara fama.
Riportiamo qui l’audio e alcune delle diapositive usate durante le prime lezioni. [/vc_column_text][vc_separator][vc_column_text]4 marzo 1991 Introduzione – Come nasce l’astronomia X – quali sono le sorgenti di raggi X – di cosa tratterà il corso
Voci di Riccardo Giacconi e Luigi Stella[/vc_column_text][vc_column_text]
[/vc_column_text][vc_column_text]
[/vc_column_text][vc_separator][vc_column_text]
6 marzo 1991 Storia dei raggi X
Voce di Riccardo Giacconi
Guarda le slide della lezione[/vc_column_text][vc_column_text]
[/vc_column_text][vc_column_text]
[/vc_column_text][vc_separator][vc_column_text]
8 marzo 1991 Storia dell’Astronomia X
Voce di Riccardo Giacconi
Guarda le slide della lezione[/vc_column_text][vc_column_text]
[/vc_column_text][vc_column_text]
[/vc_column_text][vc_separator][vc_gallery type=”image_grid” images=”12423,12424″][vc_gallery type=”image_grid” images=”12425,12426″][vc_column_text]Documenti di Elsa Giacconi, di proprietà dell’Università degli Studi di Milano – Biblioteca di Fisica. Archivio G. Occhialini[/vc_column_text][vc_separator][vc_column_text]Raccolta dei materiali a cura di
Anna Wolter
Luigi Stella
Grafica a cura di
Laura Barbalini[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]