Aggiornato il 28 Novembre 2024
Il percorso poetico-astronomico nella Commedia si basa sul numero 106, perchè 106 sono le volte che compare la parola cielo nell’opera dantesca. Inoltre, la parola stella, come ben noto, è la parola che conclude sempre le tre cantiche: E quindi uscimmo a riveder le stelle(1)Inf. XXXIV v.139; puro e disposto a salire alle stelle(2)Purg. XXXIII v. 145; l’amor che move il Sole e l’altre stelle(3)Par. XXXIII v.145.
L’uso che Dante Alighieri fa delle stelle, come afferma Boitani(4)P. Boitani, Il grande racconto delle stelle, pp. 257-258, è astronomico, metafisico, psicologico, descrittivo ed estetico. Astronomico perchè il suo interesse è dinamico, verso i movimenti degli astri e della volta celeste, e perchè essi gli servono per indicare date e ore con precisione. Metafisico, perchè le stelle “ che già nel Convivio aveva indicato come equivalente della metafisica “ gli tornano utili a descrivere la vera struttura dell’universo. Psicologico, perchè utilizza le immagini sideree per fornire il corrispettivo di suoi stati d’animo. Descrittivo, perchè impiega le similitudini con le stelle per far comprendere al lettore le epifanie e i movimenti “ soprattutto le danze “ degli spiriti beati, di cui quelle sono mere ombre. Infine, si apre una considerazione estetica, cioè un godimento della bellezza delle stelle, chiamate cose belle o bellezze.
La Commedia, e in particolare il Paradiso, diventa l’opera dell’artista che imita Dio, che riscrive in modo esteticamente bella la sua creazione in una nuova creazione.
E allora, dopo Inferno e Purgatorio, immergiamoci dentro le atmosfere astronomiche dell’ultima cantica (scarica il pdf completo di questo approfondimento).
Il cielo del Paradiso
La terza cantica è quella del volo di Dante attraverso i cieli, dal Paradiso Terrestre fino all’Empireo e a una folgorante visione di Dio. Il Paradiso di Dante si può caratterizzare con l’espressione nella luce e nella pace del cielo. Si tratta di un edificio eccelso, costituito dai cieli tolemaici e terminato dall’Empireo. Nel Paradiso, dove ciascuno dei cieli è una “stella”, la poesia siderea si apre in una serie di immagini celebri e famosi, spesso un po’ difficili da interpretare1 e comprendere.
Dante arriva alla pace dell’anima, dopo la folgorazione suprema causata dalla visione di Dio, e così finisce il suo racconto(5)Canto XXXIII, vv. 142-145:
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il Sole e l’altre stelle.
Molto importante, per la comprensione di tutto il Paradiso, è una spiegazione di Beatrice presente al Canto IV, con la quale viene chiarito che l’Empireo (il primo giro) è la vera residenza dei beati, che si manifestano nei vari cieli tolemaici per mostrare a Dante una “posizione” celeste più o meno elevata.
L’ordine dei cieli tolemaici si ritrova facilmente a partire dalle nostre attuali conoscenze astronomiche: basta scambiare di posto il Sole con la Terra (che naturalmente si porta dietro la Luna).
Nella concezione tolemaica la Terra è una sfera immobile collocata al centro dell’Universo, circondata da quelli che all’epoca erano considerati 7 pianeti (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno), dal Cielo delle Stelle fisse, dal Cielo Cristallino (o Primo Mobile) e dall’Empireo, che non è in realtà nè un cielo, nè uno “spazio”.
L’iperspazio dantesco
Agli inizi di questo secolo è stato ipotizzato che l’universo di Dante anticiperebbe il modello elaborato da Albert Einstein nel 1917, a conclusione della teoria della relatività generale: una sfera a quattro dimensioni “ o ipersfera “ la cui superficie sarebbe uno spazio tridimensionale. Riguardo il suo universo, Dante spiega che il parametro che governa la rotazione delle sfere è la distanza da Dio. Questo parametro costituisce, assieme alle tre dimensioni convenzionali, il Cosmo a 4 dimensioni di Dante. Il primo a sostenere questa tesi fu il matematico tedesco Andreas Speiser nel 1925, seguito da Mark Peterson nel 1979. Queste idee sono state infine riprese e sviluppate nel 2005 dal fisico rumeno Horia Roman Patapievici.Naturalmente, Dante non fu il profeta nè della geometria non euclidea di Reimann pubblicata nel 1854, nè della relatività generale di Einstein. Il suo Cosmo a 4 dimensioni è uno “Spazio “ Virtù”, che è l’inconsapevole risultato del tentativo di conciliare la cosmologia aristotelica (Spazio) con la visione cristiana (Virtù): visibile e invisibile, materia e spirito, temporalità ed eternità .
Dante coglie l’accecante visione di Dio, circondato dai cori angelici, usando gli occhi di Beatrice come uno specchio. In questo modo, il mondo invisibile diventa un calco del mondo visibile: l’empireo è Dio-centrico mentre la Terra è diavolo-centrica. I cori angelici orbitano intorno a Dio a velocità sempre più elevata man mano che ci si avvicina a Dio, mentre i cieli accelerano via via che ci si allontana dalla Terra: l’universo visibile con al centro la Terra è una sfera e l’empireo con al centro Dio è un’altra sfera, che hanno in comune la superficie, cioè il Primo Mobile, ovvero una ipersfera, oggetto della geometria di Riemann adottato da Einstein per descrivere l’universo nella relatività generale(6)P. Bianucci, Storia sentimentale dell’astronomia, pp. 36-37. L’universo appare, dunque, come rivoltato dall’esterno verso l’interno: al suo centro non c’è più la Terra, ma Dio.
Il prof. R. Buonanno(7)R. Buonanno, The equations of medieval cosmology in New Astronomy 14 (2009) 347“348, in un articolo del 2009, ha dimostrato in che modo le moderne equazioni dello spazio-tempo einsteiniane che governano l’espansione di un universo chiuso(8)Parametro di densità Ω0 > 1, possano essere applicate all’universo medievale immaginato da Dante nella Divina Commedia, considerando la distanza da Dio come quarta dimensione dello “Spazio “ Virtù” dantesco.
In volo verso il Paradiso
Dalla cima del Purgatorio, dove si trova il Paradiso terrestre, Dante e Beatrice spiccano il volo verso il Paradiso, attraversando la sfera del fuoco e l’aria, alla velocità di una folgore, cosa della quale il poeta si meraviglia profondamente, tanto che porrà la sua domanda a Beatrice.
Appena terminata l’introduzione al primo canto, con l’annuncio dell’argomento che sarà trattato e l’invocazione ad Apollo, Dante inserisce una delle più complesse perifrasi astronomiche del poema(9)Canto I, vv. 37-42:
la lucerna del mondo; ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci,
con miglior corso e con migliore stella,
esce congiunta, e, la mondana cera,
più a suo modo tempera e suggella.
Il Sole, che Dante chiama la lucerna del mondo, sorge alla vista degli uomini da diversi punti dell’orizzonte, non sempre dal medesimo, ma quando sorge da quel punto in cui quattro cerchi si incontrano formando tre croci, esce unito ad una stella più propizia (l’Ariete) e influisce meglio sul mondo plasmandolo e modellandolo più a suo modo.
Il significato delle due terzine è che con l’equinozio di primavera, allorchè il Sole è congiunto con il segno dell’Ariete, come per tradizione lo era quando Dio creò il mondo, si ha il tempo migliore per la Terra, la stagione della rinascita e ora per lui si sta compiendo il tempo della sua rinascita spirituale.
A parte il senso allegorico, si è di fronte a una delle più discusse perifrasi astronomiche dantesche che ha dato luogo a numerose interpretazioni tra i dantisti e gli astronomi.
La più acclarata interpretazione è la seguente: i quattro cerchi sono l’eclittica, l’equatore, il coluro equinoziale (il meridiano che congiunge i due equinozi di primavera e di autunno) e l’orizzonte. Nell’equinozio di primavera il Sole sorge proprio nel punto in cui l’eclittica taglia obliquamente l’equatore, esattamente nello stesso punto in cui passa il cerchio del coluro equinoziale tagliandolo ad angoli retti. Questi cerchi si incrociano tutti sul cerchio dell’orizzonte formando tre croci e precisamente la croce orizzonte-eclittica, la croce orizzonte-coluro equinoziale, la croce orizzonte-equatore. L’orizzonte è il cerchio fisso su cui si intersecano gli altri tre cerchi. Naturalmente, le tre croci non avranno bracci rettilinei ma curvi, trattandosi di archi di circonferenza.
Interessante la nota di Giacalone nel suo commento a questo canto, v. 39:
In definitiva, il critico sottolinea come per Dante la cosmologia sia un modo per esprimere allegoricamente la realtà religiosa, perchè l’incontro tra le virtù cardinali e quelle teologali coincide con il momento in cui tali virtù influenzano meglio l’azione terrena del Sole, aiutando l’uomo ad andare verso la redenzione e la contemplazione di Dio.
Dopo aver aperto questa parentesi per spiegare la propria condizione in quel momento equinoziale, Dante prosegue col racconto del viaggio, dando il via a quella poesia della luce che per tutto il Paradiso avrà priorità assoluta(11)Canto I, vv. 43-48:
tal foce, e quasi tutto era là bianco
quello emisperio, e l’altra parte nera,
quando Beatrice in sul sinistro fianco
vidi rivolta e riguardar nel Sole:
aguglia sì non li affisse unquanco.
Nell’emisfero australe, dunque, dalla parte della montagna del Purgatorio, era mattina mentre dalla parte dell’emisfero boreale, da cui il poeta sta raccontando il viaggio ormai avvenuto, era sera, quando vide Beatrice che fissava la luce solare con l’intensità della vista di un’aquila, con il Sole in alto a sinistra perchè era mezzogiorno. È questo il preciso istante in cui il poeta si sta staccando dal Paradiso terrestre e sta volando verso il primo cielo. Ce lo fa capire dall’aumento graduale, sempre più intenso, della luce del Sole, che egli può in parte ora sostenere grazie al fatto che la sua facoltà visiva nell’Eden, luogo che fu creato proprio per la specie umana, si è avvalorata ed è aumentata. Non appena distoglie lo sguardo dal Sole, vede tutto intorno sfavillare tanto da affermare(12)Canto I, vv. 61-63:
essere aggiunto, come quei che puote
avesse il ciel d’un altro Sole adorno.
La musica dell’Empireo
Successivamente, dopo l’esperienza del trasumanar, Dante richiama l’attenzione alla musica armonica che Dio stesso regola e assegna a ciascun cielo(13)P. Boitani, Il grande racconto delle stelle, pp. 110-111. La riflessione sulla musica non era mai stata elaborata da Dante fino a questo momento. La luce si fa abbagliante: la fiamma del Sole illumina tutta la parte del cielo così vivamente che il pellegrino non ha mai visto lago così grande. La novità del suono e l’intensità ed estensione della luce accendono in lui l’enorme desiderio di conoscere le cause di questi fenomeni e il poeta parla direttamente a Dio(14)Canto I, vv. 73-84:
novellamente, amor che ‘l ciel governi,
tu ‘l sai, che col tuo lume mi levasti.
Quando la rota che tu sempiterni
desiderato, a sè mi fece atteso
con l’armonia che temperi e discerni,
parvemi tanto allor del cielo acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
lago non fece alcun tanto disteso.
La novità del suono e ‘l grande lume
di lor cagion m’accesero un disio
mai non sentito di cotanto acume.
D’ora in poi la musica sarà norma, in contrapposizione anche alle grida dell’Inferno e alle preghiere del Purgatorio.
Così commenta Grossi(15)P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, pp. 81-83:
Note
↑1 | Inf. XXXIV v.139 |
---|---|
↑2 | Purg. XXXIII v. 145 |
↑3 | Par. XXXIII v.145 |
↑4 | P. Boitani, Il grande racconto delle stelle, pp. 257-258 |
↑5 | Canto XXXIII, vv. 142-145 |
↑6 | P. Bianucci, Storia sentimentale dell’astronomia, pp. 36-37 |
↑7 | R. Buonanno, The equations of medieval cosmology in New Astronomy 14 (2009) 347“348 |
↑8 | Parametro di densità Ω0 > 1 |
↑9 | Canto I, vv. 37-42 |
↑10 | Paradiso, Roma 1979, p. 9 |
↑11 | Canto I, vv. 43-48 |
↑12 | Canto I, vv. 61-63 |
↑13 | P. Boitani, Il grande racconto delle stelle, pp. 110-111 |
↑14 | Canto I, vv. 73-84 |
↑15 | P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, pp. 81-83 |
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