Aggiornato il 28 Novembre 2024
Cosa hanno in comune un albero nella foresta, un gatto in una scatola e la prima falce di Luna? Per quanto strano possa sembrare, questo indovinello rispecchia considerazioni fondamentali sul ruolo delle osservazioni nella scienza sperimentale.
Si deve a George Berkeley, vescovo irlandese del ‘700, la proposizione del seguente quesito:
Chi dovesse rispondere affermativamente, lo farebbe probabilmente per osservazione diretta del fenomeno e per la convinzione che eventi simili abbiano ogni volta le stesse conseguenze, anche in assenza di un testimone. D’altra parte, i fautori del “no” potrebbero argomentare che gli oggetti “ e quindi i fenomeni “ esistono soltanto se sono percepiti, seguendo una linea di pensiero filosofico cara già al vescovo Berkeley. Conseguenze estreme di questo pensiero, secondo Berkeley, erano l’inesistenza della materia e l’impossibilità di un tempo e di uno spazio oggettivamente assoluti. La teoria della relatività di Albert Einstein gli ha dato in parte ragione.
La questione si sposta quindi dalla caduta dell’albero all’importanza dell’osservatore/testimone. Si potrebbe infatti considerare che l’albero che cade produce una vibrazione dell’aria (onda sonora), ma il rumore è in realtà la nostra percezione uditiva di tale fenomeno. Quindi in assenza di un testimone con un buon orecchio, ci sarebbe la vibrazione ma non un suono.
Quanto difficile sia questa diatriba è risultato chiaro, paradossalmente, con lo sviluppo della fisica moderna nel ‘900. Oltre alla relatività di Einstein, si ci è messa pure la meccanica quantistica a dire la sua. Nel decidere quale sia lo stato di una particella elementare, ad es. se essa stia girando su sè stessa in senso orario o antiorario, il ruolo dell’osservatore diventa fondamentale: prima dell’osservazione è impossibile specificarlo, o meglio possiamo dire soltanto che il nostro “osservabile” (particella) potrebbe stare con una certa probabilità in uno stato o in un altro, o addirittura in una combinazione di stati “su” e “giù”. Dopo l’osservazione il sistema “osservato” si verrà a trovare invece in una o l’altra delle due configurazioni. Riformulato in termini più comprensibili, ma pur sempre sorprendenti, questo è il famoso paradosso del gatto di Schrà¶dinger. Se non ne avete mai sentito parlare, ve lo racconto qui in una versione personale semplificata, anche se non rigorosa:
Tornando a esperienze più semplici e di senso comune, consideriamo ora il problema della misura del tempo, necessaria per la scansione dei mesi e delle stagioni. Tale misura ha sempre avuto cruciali conseguenze su attività pratiche, come l’agricoltura, sulla celebrazione di riti religiosi, come la Pasqua dei cristiani o il Ramadan dei musulmani, come pure sull’applicazione di norme giuridiche ed amministrative (vedi ad es. il saldo di debiti e prestiti alle calende romane).
Nel caso del tempo, la realtà fisica da misurare è di competenza astronomica sin dall’antichità . È la regolarità del moto apparente del Sole nel cielo che scandisce l’alternanza giorno/notte, con una durata variabile in relazione alla posizione geografica e alle stagioni. È il ciclo delle fasi lunari a definire originariamente la suddivisione dell’anno in mesi e alcune ricorrenze importanti in diverse culture. L’osservabile è quindi un oggetto celeste, con la sua posizione o apparenza che cambiano nel tempo con precisa ma complessa periodicità .
I tentativi di calcolare calendari “perpetui”, che facessero a meno delle osservazioni, o di misurare il tempo con strumenti alternativi (orologi) hanno presto mostrato i loro limiti: il calendario Gregoriano è stato introdotto per correggere un madornale errore di calcolo nel definire il giorno della Pasqua secondo il precedente calendario Giuliano; ancora ai nostri giorni, anche i più precisi orologi atomici devono essere corretti periodicamente per stare dietro all’effettiva regolarità del moto di rotazione della Terra.
Le osservazioni restano dunque essenziali. Lo sanno bene tutti coloro che, facendo scienza, si ritrovano a dover verificare modelli predittivi di fenomeni fisici, basati su teorie diverse. E quando a noi astronomi ci viene assegnato del tempo per fare delle importanti osservazioni celesti con un grande telescopio, preghiamo che il cielo sia sereno, altrimenti chissà per quanto resteremo nel dubbio sulla validità dei nostri modelli teorici!
Per alcune comunità le stagioni sono scandite secondo un calendario lunare e l’osservazione della prima falce di Luna nuova, all’inizio di ogni mese, resta un passaggio imprescindibile. D’altra parte, tale osservazione è abbastanza complessa (vedi articolo “Guarda che falce di Luna!“), perchè la visibilità del fenomeno dipende da numerosi fattori: la posizione geografica, la qualità dell’aria, le condizioni climatiche e meteorologiche, come pure dagli strumenti di osservazione (occhio, telescopio o fotocamera digitale). Come fare in mancanza di un’osservazione diretta, che possa valere come testimonianza del fenomeno? Non tutti sono disponibili ad affidarsi a calcoli matematici, come sarebbe possibile, perchè “ in fondo “ se non c’è nessuno a vedere la falce di Luna, come possiamo dire che c’è veramente?
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