Aggiornato il 8 Gennaio 2019
Uno dei motivi per cui la teoria della relatività di Albert Einstein risulta difficile e controintuitiva risiede nella difficoltà di visualizzarla. La teoria sviluppata da Einstein, infatti, descrive uno spazio quadridimensionale, mentre noi ci siamo evoluti per sperimentare uno spazio tridimensionale. Per cui, per comprendere alcuni dei risultati di questo modello matematico possono venire in aiuto una serie di immagini e analogie in spazi geometrici a noi più congeniali. In questo caso specifico, l’analogia più utilizzata (a partire dal 1993) è indubbiamente quella di un telo leggermente elastico (per esempio di spandex) ben teso su cui poggiare oggetti sferici di differenti masse e dimensioni per osservare visivamente le deformazioni prodotte dalla massa su uno spazio bidimensionale.
Con questo modello è possibile avvicinare gli studenti a una serie di concetti avanzati sulla relatività generale e la geometria non euclidea.
Il primo e più semplice da visualizzare è indubbiamente la deformazione dovuta alla massa. Si può rendere l’osservazione ancora più interessante disegnando alcuni punti bianchi sulla stoffa elastica, facendo poi rilevare agli studenti come le distanze tra i punti vengono modificate in funzione della quantità di massa e della sua posizione sul telo.
L’altro uso classico è relativo al moto degli oggetti sul telo, siano essi pianeti o raggi di luce: mentre nel primo caso si utilizzano sfere di masse e materiali differenti, nel secondo caso si opta per automobiline senza sterzo (magari quelle con la carica a molla per avere una velocità maggiore rispetto ai “pianeti”), quindi costrette a seguire una traiettoria “dritta”. Prima di sperimentare con lo spaziotempo curvato, è bene fare alcune prove con quello piatto, notando che sia le sfere che le automobiline si muovono in linea retta. Fatto ciò si può porre sul telo una massa centrale e quindi lanciare pianeti e fotoni.
In quest’ultimo caso l’analogia va utilizzata per far notare come su una geometria curva non euclidea il quinto postulato sulle rette parallele risulta violato: due macchinine che vengono lanciate dietro una “stella” o il “pianeta” su direzioni parallele incroceranno la traiettoria in un punto oltre l’oggetto che ha curvato il telo-spaziotempo. Inoltre, supponendo che tali “fotoni” paralleli siano generati da una “stella”, con questa stessa modalità si può spiegare l’effetto della lente gravitazionale, che produce deformazioni nella luce prodotta da un oggetto lontano. In quest’ultimo caso è consigliabile integrare l’esperimento con delle foto reali dell’effetto.
Utilizzando i “pianeti” si possono, invece, mostrare le traiettorie dei corpi celesti massivi e come queste risultino compatibili con quanto sappiamo della situazione reale, almeno fino a che l’attrito tra telo e “pianeta” non ha dissipato l’energia iniziale.
Ma dal punto di vista didattico, probabilmente l’osservazione più utile è chiedersi quale sia la reale efficacia del telo come modello gravitazionale puntuale, determinando la “legge di gravitazione universale” del nostro simulatore di spaziotempo.
Ispirata a quella scoperta da Isaac Newton, sarà della forma:
\(F = A \frac{m_1 \cdot m_2}{r^x}\)
dove \(A\) è la “costante di gravitazione” del telo spaziotempo utilizzato.
Per determinare la costante di gravitazione universale del modello e il valore \(x\) della legge, si possono eseguire due generi distinti di misure. La prima è relativa all’accelerazione: si lancia un’automobilina dal bordo del telo e si registra il video del suo moto. Esaminando quest’ultimo al rallentatore è possibile determinare lo spazio percorso e il tempo trascorso e da queste informazioni, utilizzando le leggi della cinematica, ricavare l’accelerazione.
La seconda misura è relativa alla forza: utilizzando un dinamometro si misura la forza con cui l’automobilina viene attratta dalla massa posta sul telo. Tale operazione viene ripetuta a distanze differenti. I dati della forza in funzione della distanza dal centro gravitazionale vengono raccolti su un foglio di calcolo e, utilizzando le funzioni di regressione, si determina la legge di potenza corrispondente. Nel caso del telo di spandex essa risulta del tipo:
\(F = B r^{-6}\)
A causa di questa legge di potenza, che ci dice che il telo non è un buon simulatore della legge newtoniana, la terza legge di Keplero (1)Il quadrato del periodo orbitale di un pianeta è proporzionale al cubo del semiasse maggiore della sua orbita risulta non rispettata. Anche in questo caso per verificare l’inesattezza della terza legge è consigliabile registrare e successivamente esaminare un video con una massa in movimento “messa in orbita” intorno a una fissa.
Sempre il video, però, può venire in aiuto per l’osservazione della forma dell’orbita e soprattutto dell’effetto di precessione geodetica, osservato nell’orbita di Mercurio e che è conseguenza proprio di uno spazio curvo a geometria non euclidea.
Un’altra conseguenza della relatività generale è la generazione delle onde gravitazionali. Esse, che sono difficilmente rilevabili già nel nostro spaziotempo, risultano particolarmente difficili da osservare anche sul telo soprattutto a causa del maggiore attrito che questo possiede rispetto all’universo reale. Risulta allora interessante lanciare la sfida agli studenti: provare a generare sul telo delle onde simili alle onde gravitazionali. La situazione che potrebbe essere più efficace è quella dello scontro di due “stelle”: allo scopo di fornire delle indicazioni su come lanciare le sfere, si possono mostrare agli studenti i video delle simulazioni realizzate dalla collaborazione LIGO o il modello realizzato da Steve Mould:
Note
↑1 | Il quadrato del periodo orbitale di un pianeta è proporzionale al cubo del semiasse maggiore della sua orbita |
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