Lo spazio tra le pagine

Quella luna sbarazzina di Cat

Una piccola canzone di Cat Stevens degli anni Settanta che può aiutarci, oggi, a riflettere sul nostro rapporto con il cosmo

La luce della Luna, da sempre, è ciò che contrasta il buio notturno, che impedisce che il buio sia totale. Che ci può fare discreta compagnia, può aiutarci ad attraversare la notte portando nel cuore il conforto che questo leggero chiarore, comunque, può darci. A rifletterci un poco, mi sembra questo il senso di Moonshadow, la delicata canzone di Cat Stevens del 1971 (detto tra noi: più di cinquant’anni, portati benissimo).
Il brano fa parte dell’album Teaser and the Firecat. Il titolo del disco è ispirato all’omonimo libro per bambini, scritto e illustrato dallo stesso Stevens, in cui il protagonista Teaser e il suo gatto desiderano riportare al suo posto nel cielo la Luna, caduta sulla Terra. Noto qui, appena di passaggio, come il mito della Luna caduta (o discesa sulla Terra, a seconda delle versioni) si ritrovi facilmente in altre fiabe e altre occasioni: di una di queste abbiamo addirittura già parlato, quando ci siamo occupati della canzone La Luna di Angelo Branduardi.

Lunacat
“Passeggiando sotto la Luna” elaborazione dell’Autore attraverso Copilot Designer di Microsoft

Davvero, c’è qualcosa di ricorrente, in questo schema: si avverte come uno struggimento, emerge quasi un desiderio di contatto, di avvicinamento di mondi diversi, che (proprio in quanto diversi) si cercano: quello lunare, superficialmente simile ma anche così straniante per certi versi, ed il nostro, quello del mondo ordinario, delle cose illuminate dal Sole, a noi riconoscibili, numerabili, nominabili. La luce lunare, calda ed enigmatica insieme, introduce quel sottile e misterioso sfasamento dal ritmo diurno, ordinario, cartesiano. Lo denunceranno lucidamente, di lì a poco, anche i Pink Floyd, nella canzone Eclipse che chiude il meraviglioso album The dark side of the moon, che è appena di due anni dopo.

Everything under the sun is in tune
but the Sun is eclipse by the Moon

Tutto è in sintonia, in fase sotto il sole, fino a quando il sole non viene eclissato dalla Luna. Ecco, allora si entra in un altro reame, governato da coordinate emozionali più che cartesiane. Normato da una differente geometria degli spazi, più mobile e cangiante di quella euclidea. La Luna è l’unico satellite naturale della Terra ed insieme, per noi, una porta verso dimensioni altre. Così, come è sempre stato.
Ma torniamo al nostro. Nemmeno tre minuti, la penultima canzone, prima della assai più celebre (ed impegnata) Peace Train, una esortazione accorata ed attualissima a salire sul treno della pace che ci potrebbe ricordare, per certi versi, Give Peace a Chance di John Lennon. Qui però si gioca ad alleggerire, il suggerimento è piuttosto quello della danza. Qui avverti – quasi palpabile – la minor gravità lunare, percepisci una leggerezza ridente, contagiosa. Ti sembra quasi di vederla, la Luna, nell’atto di sorriderti.

Yes I’m bein’ followed by a moonshadow
Moonshadow, moonshadow
Leapin’ and hoppin’ on a moonshadow
Moonshadow, moonshadow

Ed è spudoratamente una cantilena: una cantilena sbarazzina e lieve. Sono inseguito da un’ombra di Luna, salto e saltello all’ombra di Luna… Tutto è semplice e piano, perché l’ombra della Luna lascia (o fa tornare praticabile) la possibilità di mantenere un cuore leggero. Quest’ombra, peraltro, è quasi una presenza, con la quale si può parlare. Lo fa Cat, nel bridge della canzone, l’unico momento in cui la sua voce si fa più graffiante: ed è come se il viandante notturno, che ben ci immaginiamo, fosse assalito da un dubbio. Come se qualcosa lo sbalzasse, per qualche istante appena, fuori dal suo stato di calma contemplazione.

Did it take long to find me?
I asked the faithful light
Oh did it take long to find me
And are you gonna stay the night?

Ci hai messo tanto a trovarmi? Chiesi alla luce colma di fiducia, oh ci hai messo tanto, ed ora ti fermerai per la notte? Ma ecco che l’incertezza subito si stempera subito, il brano presto ripara su ritmi e toni più leggeri: riprende l’andamento cantilenante, pacifico e fiducioso.
Cosa è mai accaduto? La pace si incrina appena sull’incertezza malata, sul dubbio infido, sulla paura – periodicamente riemergente – di essere solo. Nell’atto di fiducia ripreso e rilanciato, però, può tornare la quiete. Non siamo soli, c’è un’ombra di Luna che ci fa compagnia. Possiamo saltare e saltellare, perché non siamo soli.
Mi chiedo spesso come avremmo sentito il cielo, come lo avremmo vissuto, se per pura ipotesi, la Terra fosse stata già abitata, in quei milioni d’anni che ha trascorso, senza ancora che la sua Luna si fosse potuta formare.
In fin dei conti il problema è questo, mi viene da pensare. Che ci siamo progressivamente affrancati dai ritmi della terra, delle stagioni, del cosmo. Fino a costruirci una vita sintetica e appunto, artificiale, con delle scansioni temporali che sono fuori dal mondo, che ci straniscono e ci affaticano. Perché noi siamo nel mondo, siamo fatti di stelle, intrecciati di materia universale. I cicli del cosmo sono i cicli del nostro corpo, il ciclo stesso della fertilità femminile è in suggestivo accordo con il ciclo di rivoluzione della Luna attorno al nostro pianeta.
Siamo impastati di cielo. Per questo, anche per questo, non siamo soli. Ce lo ricorda – con ragionata autorevolezza – tutta l’indagine scientifica del cosmo, fino a indicarci quanto del nostro stesso corredo di atomi viene direttamente dalle stelle. Ce lo ricorda anche – con suggestiva immediatezza – anche una piccola canzone che riemerge, quasi dimenticata, dagli anni Settanta del secolo scorso.

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Scritto da

Marco Castellani Marco Castellani

Ricercatore presso l'Osservatorio Astronomico di Roma. Si interessa di popolazioni stellari ed è nel team scientifico del satellite GAIA di ESA. Divulgatore e scrittore per passione, gestisce da anni il blog divulgativo Sturdust.blog (già  GruppoLocale.it) e coordina il progetto Altrascienza.it.

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