La copertina del volume era lì, che mi guardava, con quella Terra disegnata in mezzo allo spazio. Così l’ho preso in mano, l’ho girato un po’ tra le dita, quindi l’ho aperto. Mi sono bastate poche righe nell’aletta della copertina per decidere di acquistare Orbital, romanzo della scrittrice britannica Samatha Harvey ambientato sulla Stazione Spaziale Internazionale.
Pubblicato originariamente nel 2023, è stato portato in Italia nel 2025 da Enne Enne Editore con una traduzione puntuale di Gioia Guerzoni, che nella nota conclusiva ha anche condiviso con i lettori la sua passione per lo spazio e l’osservazione del cielo notturno. E che quindi ha reso in qualche modo speciale la stessa traduzione di Orbital.
La classificazione del romanzo è, essa stessa, anche piuttosto complicata, poiché in qualche modo è sospesa tra la fantascienza e il romanzo di formazione, ma prima di affrontare le questioni più tecniche, fatemi brevemente riassumere la storia della Stazione Spaziale Internazionale.
Un laboratorio spaziale

Generalmente diamo inizio all’era spaziale con il lancio dello Sputnik. Se, dal punto di vista storico, l’evento ricade all’interno della guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, un altro evento spaziale ne sancì l’effettiva conclusione: la costruzione della Stazione Spaziale Internazionale.
Le origini del progetto risalgono al 1992, quando gli allora presidenti di USA e URSS George H. W. Bush e Boris Eltsin strinsero un accordo per un programma congiunto di esplorazione dello spazio(1)In effetti le rispettive agenzie spaziali avevano iniziato a collaborare nel luglio del 1975 con l’incontro in orbita delle missioni Apollo e Soyuz. che portò l’anno dopo all’annuncio da parte di Al Gore e Viktor Chernomyrdin della costruzione della stazione spaziale.
Il primo modulo, Zarja, venne lanciato nel 1998 e a tutt’oggi la stazione continua a essere assemblata con vari moduli (molti di produzione italiana), al cui interno sono condotti una serie di esperimenti per comprendere come gli esseri viventi (in particolare gli uomini) si adattino alla vita nello spazio, ovvero a condizioni di micro- o assenza di gravità, e come ci si può difendere dalle radiazioni cosmiche, che potrebbero indurre modifiche genetiche e malattie letali (argomento particolarmente utile da approfondire nell’ottica del ritorno sulla Luna o delle future missioni verso Marte).(2)Righe tratte dal mio articolo L’homo sapiens nello spazio
Da quel momento in poi la Stazione Spaziale Internazionale è entrata lentamente nella nostra cultura, in particolare nei film di fantascienza, iniziando con The day after tomorrow del 2004 diretto da Roland Emmerich e fino al recente I.S.S. del 2023 diretto da Gabriela Cowperthwaite.
In tutta questa serie di prodotti cinematografici, tra cui vanno inseriti anche una manciata di documentari, sono forse due i film che possono dirsi “cugini” di Orbital.
Citerei prima di tutto La sfida, space drama del 2023 diretto da Klim Šipenko. Girato, in parte, sulla Stazione Spaziale, racconta non già una storia di fantascienza, ma un particolare evento che potrebbe avvenire nello spazio: la necessità di intervenire chirurgicamente su un astronauta per salvargli la vita.
Tra i documentari, invece, A beautiful planet del 2016 diretto da Toni Myers condivide non solo la narrazione, che segue gli astronauti nel corso delle orbite intorno al pianeta, ma anche uno degli obiettivi del libro: raccontare il pianeta su cui viviamo.
Uno sguardo dallo spazio
Orbital, infatti, unisce la normalità della vita degli astronauti che nel corso delle varie albe e tramonti (16 in 24 ore) hanno diversi compiti da portare a termine, con una serie di riflessioni sul nostro pianeta, che vengono portate all’attenzione del lettore o attraverso i pensieri dei 6 astronauti presenti sulla Stazione Spaziale Internazionale, o attraverso i brevi racconti delle persone che, sulla Terra, sono a essi legate.
Harvey, con uno stile leggero, quasi poetico, alterna quindi scene di vita quotidiana, a riflessioni sulla Terra e su come la stiamo trattando, sia dal punto di vista ambientale, sia politico. Per ciascuno di questi due aspetti la scrittrice propone una serie di scene chiave. Per la parte politica mostra come gli astronauti continuano a vivere insieme negli spazi condivisi, che le direttive dei rispettivi governi vorrebbero tenere separati. La parte ambientale, invece, si sviluppa attraverso immagini dall’alto mentre la Stazione monitora l’andamento di un tornado che si sposta quasi in parallelo, ma anche attraverso zoom verso la superficie stessa, cercando di raccontare al lettore la bellezza del nostro pianeta.
In ultima analisi l’ispirazione più forte, anche dal punto di vista stilistico, di Orbital è il famoso Pale blue dot di Carl Sagan: in molti passaggi ne riprende la stessa forza evocativa, e persino le idee di fondo, quel voler mostrare la fragilità del nostro pianeta attraverso la vita dei suoi abitanti. Sulla Terra, ma anche nello spazio.
Ultima considerazione: dal punto di vista scientifico e tecnologico il romanzo è decisamente molto ben documentato, raccontando con grande precisione la vita degli astronauti in orbita, fatta di esperimenti, ma non solo. Per seguire i movimenti della Stazione Spaziale intorno alla Terra si trova, poi, all’inizio una mappa con le orbite che essa segue nel corso di 24 ore, e che scandiscono lo scorrere del tempo nel corso della lettura.
Un bel romanzo che ci ricorda il filo sottile che ci lega al pianeta e che, nonostante l’elemento quasi fantascientifico (il riferimento alla missione che dovrebbe riportare gli uomini sulla superficie della Luna, effettivamente programmata per il 2027), è forse il primo romanzo ambientato nello spazio, ma che non può essere oggettivamente considerato di fantascienza.
Abbiamo parlato di:
Orbital
Samantha Harvey
Traduzione di Gioia Guerzoni
Enne Enne Editore, febbraio 2025
176 pagine, brossurato – € 18
ISBN: 9791255750659
Note
↑1 | In effetti le rispettive agenzie spaziali avevano iniziato a collaborare nel luglio del 1975 con l’incontro in orbita delle missioni Apollo e Soyuz. |
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↑2 | Righe tratte dal mio articolo L’homo sapiens nello spazio |
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