Evoluzione stellare

Aggiornato il 4 Novembre 2020

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Sul dizionario della lingua italiana Devoto Oli alla voce “stella” si legge:

“un corpo celeste che brilla di luce propria ed è tenuta insieme dalla forza di gravità; il Sole è una tipica stella.”

 

In realtà però il nostro Sole appare molto diverso dalle stelle che osserviamo: più grande, luminoso e colorato. Questa apparente diversità del nostro astro è dovuto alla enorme distanza delle altre stelle rispetto al Sole.

Le stelle osservabili ad occhio nudo sono circa 6000; tuttavia a causa dell’inquinamento luminoso, ossia delle luci artificiali di bar, ristoranti, strade, aeroporti ecc. le stelle osservabili da una grande città sono qualche centinaio.

Ci sono due modi di studiare gli astri: il primo consiste nel prendere una stella e studiarla accuratamente in ogni suo dettaglio; il secondo prevede invece lo studio statistico di tanti oggetti e la successiva elaborazione di un modello. Seguendo quest’ultimo metodo, Ipparco di Nicea nel II° secolo a.C. compilò un catalogo di stelle in cui riportò la longitudine e la latitudine celeste (ossia la posizione in cielo) e la magnitudine delle stelle, ovvero la brillantezza. Ipparco diede il valore “1” alle stelle più brillanti ossia di prima magnitudine, “2” a quelle un po’ meno brillanti, “3” a quelle ancora meno brillanti… fino ad assegnare la sesta magnitudine: stelle appena visibili ad occhio nudo.

In astronomia si intende per luminosità la luce emessa da una stella e per flusso quella avvertita sulla Terra. La differenza fra queste due grandezze dipende quindi dalla distanza dalla sorgente.

Una stella molto luminosa ma molto molto distante ci apparirà appena percettibile nel cielo notturno, mentre una stella come Sirio, piuttosto modesta in luminosità rispetto ad altre stelle, ci appare molto brillante poiché molto vicina a noi.

Per confrontarne dimensioni e luce bisogna misurarne la magnitudine assoluta, ovvero la magnitudine che avrebbero le stelle se fossero tutte distanti dalla Terra quanto il Sole. Questa misura ci mostra chiaramente che stelle come Betelgeuse (la stella che rappresenta la spalla di Orione) o Aldebaran (occhio infuocato del Toro), sebbene sembrino meno brillanti del Sole, in realtà siano più luminose e molto più grandi.

Nonostante ci appaiano minuscoli punti bianchi, le stelle hanno diversi colori, dal rosso al blu, anche se noi le percepiamo bianche a causa della loro luce troppo debole. Utilizzando strumenti ottici, dalle lastre fotografiche ai moderni telescopi, è possibile individuare il colore della stella a la sua curva di luce [mfn]La curva di luce si ottiene facendo passare la luce stellare in un prisma di vetro, ottenendo quindi la sua scomposizione. Si procede quindi con la “conta” dei fotoni di diversi colori e si riportano i dati su di un grafico. [/mfn].

La luce delle stelle, quando viene fatta passare attraverso un prisma (o uno spettroscopio) viene divisa nelle sue componenti (nei diversi colori – creando l’arcobaleno). È possibile con degli appositi strumenti applicati al telescopio misurare l’intensità della luce nelle diverse componenti e ricavare la curva di luce delle stelle.

Ogni curva di luce di una stella presenta un picco corrispondente al maggior numero di fotoni di un determinato colore, una forma a campana il cui punto più alto identifica il suo colore.

Nello spettro delle stelle compaiono inoltre delle righe nere che sono legate alla presenza di particolari elementi chimici: infatti esse corrispondono alle energie (ai fotoni) che vengono assorbite dall’atomo quando un elettrone eccitato passa da un livello energetico a uno superiore. L’energia (il fotone è la particella che trasporta energia) assorbita durante questi salti è sempre la stessa per un determinato elemento chimico e quindi ci permette di riconoscerlo [mfn]è grazie a questa caratteristica degli atomi che noi siamo in grado di determinare la composizione chimica delle stelle.[/mfn] come fosse un’impronta digitale lasciata dall’elemento chimico stesso.[/vc_column_text][vc_single_image image=”12139″ img_size=”full” add_caption=”yes”][vc_column_text]Uno dei pionieri nello studio della spettroscopia stellare fu Henry Draper (1837 – 1882). A causa della sua morte prematura non riuscì però a concludere il lavoro, che fu invece ultimato da Edward Pickering (1846 – 1919), professore presso l’Università di Harward.

Egli assunse 46 donne per catalogare, dividere e classificare il materiale. Questo gruppo di lavoratrici passò alla storia come l’harem di Pickering o le calcolatrici di Harward. Accanto a una motivazione di merito secondo la quale Pickering era convinto che le donne fossero migliori degli uomini nella selezione, catalogazione e divisione del materiale vi fu probabilmente una motivazione pratica per cui la manodopera femminile, al tempo, costava meno di quella maschile.

Ad ogni modo egli diede a 46 donne la possibilità di entrare a far parte dell’Università di Harward come ricercatrici [mfn]in quegli anni non era ancora permesso alle donne partecipare alla vita universitaria.[/mfn]. Di questo gruppo faceva parte Annie Cannon Jump [mfn]Annie Jump Cannon (1863-1941) fu un’astronoma statunitense. La sua gioventù non fu facile, segnata dalla morte di entrambi i genitori e da precarie condizioni economiche, sufficienti comunque a darle un’istruzione magistrale. Laureatasi in fisica nel 1886, soltanto dieci anni più tardi divenne assistente di Edward C. Pickering.[/mfn], una delle poche laureate in fisica del tempo assunta nel 1896 dall’Università di Harvard come assistente di Pickering; fu Annie Cannon a ultimare il progetto dell’Henry Draper Catalogue anche dopo la morte di Edward Pickering. Si stima che durante la sua vita Annie abbia analizzato circa 500.000 spettri di stelle, classificandole in base alle loro righe di assorbimento.

La classificazione stellare iniziata prima di Annie, ma da lei portata a compimento, fa corrispondere una lettera dell’alfabeto a una particolare classe di stelle identificata da diverse righe di assorbimento.

Oggi sappiamo che alle diverse classi stellare corrispondono stelle con diverso colore (e come vedremo diversa temperatura superficiale): al tipo O corrisponde una stella di colore blu, al tipo B corrisponde il colore azzurro, al tipo F e G il giallo, al K l’arancione e al tipo M il rosso. A questo proposito proprio Annie Cannon Jump inventò la filastrocca “oh be a fine girl kiss me right now sweet hearth” per ricordare i tipi stellari.[/vc_column_text][vc_single_image image=”12140″ img_size=”full” add_caption=”yes”][vc_column_text]Nel 1924 viene pubblicato il catalogo di Draper contenente la classificazione di 225.000 stelle. Nel 1926 Arthur Eddington pubblica “The internal constitution of the stars”, pietra miliare nello studio dell’evoluzione stellare.

Nel 1910, indipendentemente l’uno dall’altro, Ejnar Herzprung e Herny Norris Russell elaborarono un grafico che classifica le stelle tenendo conto della loro classe spettrale e della loro luminosità.

Se disponiamo su un grafico le stelle in base alla loro classe spettrale e alla loro luminosità la maggior parte delle stelle si posiziona sulla diagonale del grafico che va dall’angolo in alto a sinistra a quello in basso a destra. Le stelle lungo questa diagonale sono chiamate stelle di main sequence, cioè di sequenza principale.[/vc_column_text][vc_single_image image=”12142″ img_size=”full” add_caption=”yes”][vc_single_image image=”12143″ img_size=”full” add_caption=”yes”][vc_column_text]Questo ci dice che la Natura non “costruisce” stelle di ogni classe e luminosità ma ha una direzione “preferenziale”. Di fatto questi dati empirici suggeriscono un collegamento tra la luminosità e la classe spettrale di una stella.

 

Cerchiamo di capirlo insieme:

in natura le stelle di tipo O e B hanno una luminosità alta, le stelle K e M sono invece poco luminose; nel grafico ci sono però altre zone popolate da stelle un po’ particolari: si tratta di zone precise del grafico di cui daremo giustificazione più avanti.

Sempre intorno agli anni ’20 e’30 del secolo scorso Cecilia Payne-Gaposchkin [mfn] Cecilia Payne-Gaposchkin (1900-1979) fu un’astronoma inglese. Orfana di padre, Cecilia si occupò in un primo momento di botanica; in seguito l’abbandonò per dedicarsi all’astrofisica, scienza a cui si era appassionata in seguito all’incontro con Eddington. Quando nel 1925 viene assunta, con la raccomandazione di Eddington, da Harlow Shapley, successore di Edward Pickering, Cecilia ebbe come tutor Annie Cannon. Cecilia inoltre diventò la prima persona a ottenere un dottorato in astronomia ad Harvard, con una tesi definita dallo scienziato Otto Struve come “la più brillante tesi mai scritta in astronomia”.[/mfn] effettuò alcune ricerche sulla temperatura.
Guardando le stesse righe nere di Annie Cannon e grazie ad alcune proprietà dei gas, Cecilia comprese che anche la temperatura è un parametro utile alla classificazione degli astri.

Le stelle di tipo O hanno superficie con una temperatura di circa 40000°C, B di 28000°C, A di 9900°C, F di 7400°C e poi si scende fino alle R, N, S che sono quelle con temperatura minore.

Per esempio, il Sole, che ha un colore tra il giallo e l’arancione, ha una temperatura superficiale di 5780°C.
Ora abbiamo un’altra grandezza fisica di cui render conto e con cui leggere il grafico.[/vc_column_text][vc_single_image image=”12144″ img_size=”full” add_caption=”yes”][vc_single_image image=”12141″ img_size=”full” add_caption=”yes”][vc_column_text]Le stelle di sequenza principale di classe O e B, hanno alta luminosità, alta temperatura superficiale e sono di colore blu/bianco; passando alle stelle di classe A, F, G, M… la temperatura diminuisce, così come la luminosità e il colore passa dal bianco al giallo e al rosso.

Nella zona in alto a destra del grafico ci sono alcune stelle che escono dalla diagonale, sono più fredde perché nella posizione del grafico corrispondente a temperature più basse, di colore giallo/rosse ma molto luminose: si tratta di stelle di grandi dimensioni – e che quindi emettono molto luce – ma superficialmente “fredde”. Sono le giganti o supergiganti rosse.

Analogamente, nella zona in basso a sinistra del grafico ci sono alcune stelle molto calde, blu, ma poco luminose: sono stelle piccole che emettono poca luce nonostante siano molto calde, si tratta delle cosiddette nane bianche.[/vc_column_text][vc_custom_heading text=”Composizione delle stelle” font_container=”tag:h3|text_align:left|color:%23000000″ use_theme_fonts=”yes”][vc_column_text]Osservando gli spettri e avvalendosi di alcune equazioni, Cecilia Payne scoprì che una stella come il Sole era costituita per il 90% da idrogeno, dal 9% da elio, 1% di ossigeno e da tracce di carbonio, neon, azoto e altri elementi chimici. Poiché in quegli anni si pensava che le stelle fossero simili alla Terra, ciò risultava del tutto inverosimile: per questo motivo Cecilia, allarmata, decise di spedire una lettera a Henry Norris Russell, esponendogli i propri dubbi riguardo ai risultati ottenuti.

Di seguito è riportata la risposta di Russell:

«Gentile Miss Payne, ecco finalmente le note sulle abbondanze relative, che è stata così gentile da mostrarmi. I suoi eccellenti risultati sembrano estremamente coerenti. Molte discrepanze sono risolte. Rimane però una discrepanza piuttosto seria, quella relativa a idrogeno, elio e ossigeno. Su questo punto credo che ci sia qualcosa di sbagliato nella teoria corrente. È chiaramente impossibile che l’idrogeno sia un milione di volte più̀ abbondante dei metalli.»

Nel 1929 lo stesso Russell confermò in un articolo gli studi di Cecilia Payne, secondo cui il 70% della massa di una stella è idrogeno, il 25% è elio e vi sono tracce di elementi complessi.

Non è confermato se il celebre astronomo ringraziò mai pubblicamente la donna per i dati, ma quando gli fu chiesto di consigliare un nome per il successore del direttore a Princeton egli diede proprio quello di Cecilia, la quale preferì però rimanere a Harvard.[/vc_column_text][vc_custom_heading text=”Equilibrio” font_container=”tag:h3|text_align:left|color:%23000000″ use_theme_fonts=”yes”][vc_column_text]Ogni stella è una sfera di gas in cui le particelle, si muovono in modo frenetico; il moto delle particelle garantisce la pressione. Così come nella ruota di una bicicletta, la pressione e la forza peso agiscono con versi opposti: se la pressione garantita dal moto delle particelle di gas è tale da bilanciare la forza di gravità, si arriva a uno stato di equilibrio, chiamato equilibrio idrostatico. Tutta la vita di una stella è mirata a mantenere il suo equilibrio e i processi messi in atto per ottenerlo ne determinano l’evoluzione.[/vc_column_text][vc_custom_heading text=”Evoluzione” font_container=”tag:h3|text_align:left|color:%23000000″ use_theme_fonts=”yes”][vc_column_text]Per poter essere in costante movimento e garantire la presenza di pressione le particelle devono prendere energia dalle reazioni termonucleari che avvengono al centro della stella. I nuclei degli atomi d’idrogeno (ossia i protoni), sottoposti a pressioni e temperature molto elevate, si scontrano andando a formare un atomo di elio. Questa reazione produce l’energia. Una stella trascorre la gran parte della sua vita in questa fase, bruciando idrogeno per formare elio e producendo energia. Quando termina l’idrogeno, il centro della stella, essendo in assenza di pressione, collassa, aumentando la sua temperatura e la velocità delle particelle al suo interno. Ciò permette il verificarsi di un’altra reazione termonucleare, per cui gli atomi di elio si combinano per formare carbonio producendo energia. Inoltre, in seguito a questo collasso, la parte esterna della stella si espande per mantenere l’equilibrio.

Se la stella è circa delle dimensioni del Sole, la sua vita terminerà una volta che l’elio è stato consumato; una stella come il Sole uscita dalla fase di combustione dell’idrogeno si espanderà, poi lascerà gli strati più superficiali perdersi nell’universo e al centro resterà una piccola e calda stella: una nana bianca.

Se invece la stella ha una massa maggiore di circa otto volte la massa del Sole, gli atomi di carbonio avranno energia sufficiente per scontrarsi e formare ossigeno; una volta finito il carbonio, l’ossigeno si combinerà in silicio e contemporaneamente la stella aumenterà il suo raggio. Il silicio comporrà  il ferro, ma, terminato questo processo, la stella non sarà più in grado di formare elementi più pesanti; priva di una fonte sufficiente di energia la stella collasserà sotto il suo stesso peso, dando luogo a un’esplosione di supernova, durante la quale, in una piccola frazione di tempo, verranno prodotti moltissimi elementi della tavola periodica.[/vc_column_text][vc_custom_heading text=”Luce” font_container=”tag:h3|text_align:left|color:%23000000″ use_theme_fonts=”yes”][vc_column_text]Incontriamo nuovamente una donna a base di questa ricerca e si chiama Margaret Peachey

Burbidge. Inglese, si laureò nel 1939, anno in cui l’Inghilterra entrò in guerra contro la Germania.

“Avendo letto un annuncio su The Observer per una ricerca di personale all’Università Carnegie per il Mt. Wilson Observatory, feci domanda. La lettera di rifiuto diceva semplicemente che i posti al Carnegie Fellowship erano riservati agli uomini. Apparentemente alle donne non era concesso l’uso dei telescopi di Mt. Wilson.”

In una sua lettera Margaret spiegò che il motivo del rifiuto era che non vi erano bagni per donne: non era infatti previsto che una donna lavorasse in un osservatorio.

Margaret scrisse, in collaborazione con William Alfred Fowler, Fred Hoyle e il marito Geoffrey Burbidge, uno degli articoli più importanti di tutta l’astrofisica, in cui viene spiegata la sintesi degli elementi nelle stelle. Spiegava che attraverso otto reazioni nucleari diverse si possono creare molti degli elementi della tavola periodica: all’interno delle stelle a partire da elementi semplici si possono comporre elementi più complessi. Mentre sulla Terra due protoni si respingono (poiché hanno entrambi carica positiva), su una stella ci sono temperature, pressioni e densità così elevate che, grazie all’intervento della forza nucleare forte, essi si scontrano e, con altri, formano un atomo di elio. Quando quattro protoni vanno a formare un atomo di elio il 0,7% della massa coinvolta nella reazione diventa energia: quattro protoni hanno più massa di un atomo di elio.

La stella passa il 90% della sua vita in questa fase, bruciando idrogeno per formare elio: si tratta della fase di sequenza principale. Quando “finisce” l’idrogeno esce dalla sequenza principale ed entra nel ramo delle giganti o supergiganti rosse: aumenta il raggio ma diminuisce la sua temperatura superficiale.

Una stella di piccola massa come il Sole ha una vita media abbastanza lunga: una decina di miliardi di anni. Una stella di 30/40 volte la massa del Sole vive invece molto meno: qualche milione di anni.[/vc_column_text][vc_custom_heading text=”Nascita delle stelle” font_container=”tag:h3|text_align:left|color:%23000000″ use_theme_fonts=”yes”][vc_column_text]Le stelle nascono da nubi di idrogeno molecolare H2 molto freddo: quando vengono destabilizzate da qualche fenomeno, come ad esempio un’onda, zone più dense di gas collassano su loro stesse per via della forza gravitazionale, si riscaldano fino ad accendere le reazioni termonucleari e danno vita a nuove stelle.

Poiché queste nubi sono molto grandi, le stelle nascono sempre in gruppi o ammassi di stelle.

Esistono ammassi aperti e ammassi chiusi. I primi non sono molto massicci: basta quindi una perturbazione a causarne lo sgretolamento, che avviene in genere dopo alcune centinaia di milioni di anni.

Gli ammassi chiusi, o “globulari” sono invece strutture molto più grandi che contano miliardi di stelle. Sono più longevi e le loro stelle non si slegano: nascono insieme e finiscono insieme. Gli ammasso di stelle sono tra gli oggetti più antichi osservabili nel nostro Universo.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]